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Ritorno a casa, almeno per un giorno
07/04/2008 17:51
Ne parli con Aldo, che subito rimane colpito dall'idea. Inizi a
pensare a come muoverti, in quale settore andare, su cosa focalizzare
l'attenzione, come vivere tu stesso la gara. Perché l'idea, dopo un
campionato sano, di tornare a guardare la partita da un'altra
angolatura ti affascina, ma, nel contempo, sapendo che poi dovrai
rendicontare le emozioni e l'atmosfera, ti preoccupa. Del resto, chi
collabora con Gazzetta Lucchese domenica contro il Perugia ha deciso di
pagare il biglietto, perché crediamo ai fatti e anche al loro
valore simbolico. La scelta finisce per cadere sulla gradinata, vuoi
perché forse è il settore più caldo da un po' di tempo a questa parte,
e non ce ne vogliano i ragazzi della curva che ce la stanno mettendo tutta, vuoi perché chi scrive lì, da quei gradoni, ha
visto la sua prima partita nel 1974 e nel suo portafogli conserva una
sola cosa del padre che non c'è più: il suo ultimo abbonamento di
gradinata. Quello della retrocessione in C1. Quello che - ancora i
biglietti nominali fortunatamente avevano da venire - chi scrive raccolse e utilizzò,
imprecando, sperando, illudendosi, comprendendo che quella
retrocessione sarebbe stata dura da cancellare. Proprio come avrebbe
fatto chi quell'abbonamento acquistò, a metà tra le speranze estive da
calciomercato e la sana ritrosia lucchese del "tanto so che poi mi ci
avveleno ogni domenica, ma l'ho voluto fare".
E così, eccoti in mezzo alla gradinata, o per meglio
dire spostato verso la curva est, dove ci sono facce note, dove ritrovi
pezzi di un passato rossonero carico di ricordi. Vedi Maida, la
irriducibile moglie di Beppe Lorenzini, e ti viene in mente
Civitavecchia, dove, sotto un sole africano, si consumò il primo vero
riscatto rossonero, con una zampata di Tano Salvi, uno che
per chi scrive continua a dare brividi solo a nominarlo. Eravamo accanto a scandire i
minuti che mancavano alla fine, trattenendo il respiro, guardandoci
senza parlare, ben consci che quel giorno poteva significare la fine
dell'inferno della C2. Vedi il gruppo della Vecchia Guardia, un
manipolo di eterni giovani gogliardi, di quelli che la Lucchese se la
portano a letto. Ci vivono affianco, notte e giorno. Per una vita.
Insomma, un matrimonio in piena regola, altro che Pacs. Giri lo sguardo
e vedi l'amico di sempre, Alessandro, cento e cento partite insieme tra
Lucchese e Nazionale. Tante delusioni in comune, ma anche qualche gioia
irrefrenabile. E pensi al gol di Simonetta contro l'Empoli, una zampata
magica che apre le porte della serie B con Alessandro sfigurato in un
urlo beluino. Con l'ictus a portata di mano. A volte ti chiedi che sottile
magia produca il calcio per riuscire a trasfigurare persone
assolutamente tranquille, persino disincantate nella vita di tutti i
giorni, ma che ritrovano il bambino che c'è in ognuno di noi quando
sono accanto a un terreno verde. E quando su questo sgambettano
ventidue persone. Ti senti chiamare e vedi un altro Alessandro, il tuo
dentista, una vita in rossonero."Sono venuto, non potevo mancare". Figlie e moglie lasciate a casa. Poi
un elenco di presunti tiepidi, quelli che di delusioni ne hanno
collezionate a bizzeffe, che quando li incontri ti dicono "no, basta,
tanto non si va da nessuna parte neanche quest'anno". Ma che quando c'è
da stringersi al fianco nei momenti chiave non mancano mai. Il richiamo
della foresta, pardon della pantera.
Lo stadio presenta un buon
colpo d'occhio, niente a che fare con certe adunate oceaniche solo di
pochi anni fa, per carità, ma di questi tempi più di quattromila
persone non sono poche. E soprattutto si fanno sentire. Manuel Scalise,
uno che dà l'anima in ogni gara, un passionale, uno entrato subito nel
cuore dei tifosi, lo confessava sabato prima di partire in ritiro
"Specie nel riscaldamento ti dà una carica incredibile sapere che li
hai accanto. Ti trasmette forza e concentrazione. Saranno in tanti? -
si domandava - Speriamo facciano un bel tifo, ci devono stare vicini".
La partita scivola come tante altre
questo campionato: bella Lucchese, piena di orgoglio, ma scarsamente
portata a chiudere le gare, a fare del cinismo un suo punto di forza. Il
gol del vantaggio ci sta tutto, ma la reazione dei grifoni non
perdona.
Il pari, a meno di un ennesimo acuto della volontà, è un risultato
quasi inevitabile. Come inevitabile è il pensiero a questa sorta di
maledizione che da diciotto anni impedisce di vivere una grande
emozione collettiva quando allo stadio ci sono molti tifosi presenti.
C'è chi dice colpa dei gufi, chi descrive una sorta di sortilegio che graverebbe
sul Porta Elisa. Chiacchiere. La realtà è che, come nella vita, il
calcio ti fa conoscere periodi neri. A volte lunghissimi. Basti pensare
al Livorno, ora in serie A, ma con una sequenza di spareggi persi, di
umiliazioni su campi sconosciuti, di tornei di Eccellenza sulle spalle. Oppure ti
costringe all'anonimato per decenni, come è il caso del Siena,
calcisticamente zero sino a che una banca - e che banca! - lo ha
adottato. Ci vorrà
pazienza. Ci vorrà coraggio per ingollare altri rospi. Ma quelle facce
viste ieri non si arrenderanno mai. Finchè morte non ci separi, stava
scritto su uno striscione di tanti anni fa. Ecco, vincere prima del
trapasso e vedere di nuovo la Lucchese in serie A: è chiedere troppo?
Fabrizio Vincenti