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Zanetti, ovvero la forza di essere normale
21/09/2007 21:39
Gianluca Zanetti, classe 1977, trent'anni compiuti il 2 luglio, segno zodiacale cancro, una carriera passata sui campi della serie B, ma, soprattutto, su quelli della C1: Cesena, Monza, Cremonese, Castel di Sangro, Livorno, Pescara, Teramo, Sanbenedettese e, da ultimo, Foggia. Sposato con Elisa, ha due figli, Alessio e Aurora. E' arrivato a Lucca con la fama di essere un rubacuori, ma anche un uomo estremamente riservato e saggio. Che tipo è, in realtà, Gianluca Zanetti?
'Io sono una persona molto tranquilla, che non ama uscire la sera e farsi vedere in giro. Mi piace stare con i miei compagni quando è possibile, ma, soprattutto, con la famiglia. Anche quando non ero sposato, devo essere sincero, sono sempre stato una persona con la testa sulle spalle, mai sopra le righe'.
Hai avuto, giovanissimo, una chance di poter giocare in una grande squadra?
'Sì, quando stavo per fare il grande salto, nel periodo migliore della mia carriera - avevo appena concluso un campionato di B a 19 anni ed ero stato comprato dal Milan - mi sono rotto per due volte lo stesso legamento crociato del ginocchio sinistro. Sono stato fermo due anni dopodiché sono andato a Monza in serie B dove ho disputato le ultime gare di campionato e da lì ho ripreso la carriera, ma in serie C. Era stata la mia grande occasione, essere acquistato dal Milan che mi diede in prestito al Monza. Purtroppo dopo un mese, alla terza giornata di campionato, mi sono rotto il crociato e sono tornato al Millan dove sono rimasto con Capello e Zaccheroni'.
Che cosa accade nella testa di un giovane calciatore quando i sogni si infrangono?
'Succede che fino a un certo punto le cose capitano sempre agli altri e tu speri che non capitino a te. Poi, quando succedono davvero a te, devi essere forte e saper reagire. Io ho avuto la fortuna di avere una famiglia alle spalle, qualcuno che mi ha aiutato e incoraggiato e da questi infortuni ne sono venuto fuori piuttosto bene'.
Hai dei rimpianti?
'No, perché sono contento di quello che ho fatto e di quello che ho e mi riferisco soprattutto alla mia famiglia, a mia moglie e ai miei due splendidi figli di un anno e mezzo e tre anni'.
A trent'anni che cosa può ancora desiderare un calciatore?
'A livello professionale tutto, perché se non hai le motivazioni e la voglia di fare qualcosa è inutile che fai questo lavoro. Il calcio penso sia un insieme di motivazioni e voglia di dimostrare e di fare. Se uno non ha queste cose non può giocare al calcio'.
Conoscevi Lucca?
'Non la conoscevo perché non c'ero mai stato e anche mia moglie, che è di Empoli, non l'aveva mai vista. Però sentivo spesso al telefono Bonfanti e lui mi ha sempre parlato di una città dove si sta bene'.
Conoscevi Piero Braglia?
'L'ho affrontato da avversario quando io ero a Pescara e lui era a Chieti e ricordo che era un Chieti che giocava molto bene al calcio. Sapere che c'era lui alla Lucchese e che veniva da un campionato vinto a Pisa, è stata una cosa ancora più positiva. E infatti si è rivelata tale.
Ad Ancona hai disputato una brutta gara e il tecnico, a fine partita, pur non facendo nomi, ha criticato un difensore in particolare. Eri, probabilmente, tu, che avevi sbagliato il gol del pareggio e lasciato solo Mastronunzio in occasione del raddoppio. Poi, contro il Martina, ti ha affidato la fascia di capitano. Ci hai capito qualcosa?
'Il mister sotto questo aspetto è molto bravo, perché è un motivatore che cerca di tirare fuori il massimo da ognuno di noi. La scelta di farmi capitano l'ho considerato un atto di fiducia nei miei confronti e spero di non averlo deluso'.
Ma che cosa è successo ad Ancona?
'Ci sono dei momenti, delle giornate in cui le cose non vanno come si vorrebbe che andassero. E' capitato ad Ancona, abbiamo analizzato e parlato tra noi per capire gli errori fatti, alcuni li abbiamo eliminati nella partita col Martina e altri speriamo di eliminarli a mano a mano che andiamo avanti in campionato e in allenamento'.
Un tranquillo come te come ha fatto ad adattarsi a un girone così duro come quello del sud?
'Sono otto anni, ormai, che faccio il girone B. All'inizio ho notato la differenza con il girone A. In certi campi, infatti, si vede un comportamento diverso in campo e fuori. Lo si sa, comunque, che certi campi del meridione sono molto più caldi. Ma io sono sempre stato dell'idea che le gare non si vincono intimorendo l'avversario nel sottopassaggio o rifilando degli schiaffi, ma sul campo. Non serve a niente essere un provocatore o uno che mette paura all'avversario'.
C'è chi vi idolatra e chi vi denigra. Che razza siete voi calciatori?
'Siamo delle persone come le altre. Non c'è nessun tipo di differenza. Molta gente collega la figura del calciatore alle donne, ai soldi, alle macchine. Ci si ferma all'apparenza e non si conoscono le persone. Purtroppo ci si ferma al sentito dire e alle apparenze, invece i calciatori sono persone normalissime che lavorano e che fanno quello che fanno le altre persone comuni'.
Voi giocatori lasciate la famiglia molto presto. Siete costretti a diventare grandi alla svelta?
'Sicuramente il fatto che uno va via di casa così presto, è una cosa che responsabilizza molto. Un giovane che a quindici anni va via di casa per giocare a pallone, diventerà più uomo perché deve arrangiarsi da solo in tutto e per tutto'.
C'è anche un rovescio della medaglia? Quello cioè di crescere troppo in fretta? Lasciarsi, cioè, trascinare da valori fatui?
'Può accadere, ma bisogna che il ragazzo abbia avuto un'educazione corretta e giusta, con dei principi sani. Se ha una famiglia solida che gli ha insegnato i valori giusti, non si perderà per strada'.
Nel calcio c'è qualcuno cui devi qualcosa e che, magari, devi ringraziare?
'In tutti questi anni sono due le persone che mi hanno aiutato: mio babbo e mia moglie. Nel mondo del calcio non trovo persone che possono avermi aiutato in maniera particolare. Solo mio padre e mia moglie mi hanno aiutato veramente quando avevo bisogno'.
Lo dici con amarezza, neanche fosse una giungla.
'Il calcio è questo: oggi ci sei, mi servi e il giorno dopo non mi servi più e ti metto da parte. Un giorno sei portato su e l'altro sei di nuovo sotto. Tutto perché, magari, qualcuno ha fatto meglio di te. Bisogna essere bravi a confermarsi, perché arrivare può essere facile, difficile è confermarsi anno dopo anno'.
Sarà forse per questa durezza che voi calciatori vi sposate presto e cercate il calore di una famiglia?
'Io ti posso parlare per la mia esperienza personale. Io mi sono trovato a un punto della mia vita in cui volevo avere qualcuno al mio fianco con cui parlare tutti i giorni e poter confidarsi. Si arriva a un certo momento della propria vita nel quale non basta più fare i ragazzini'.
Esiste superficialità intorno a voi?
'Quando ero giovane ho frequentato posti di calciatori e sì, effettivamente, un po' di superficialità c'è. Però torno all'inizio, al fatto che io sono sempre stato tranquillo e non sono mai andato a cercare cose particolari. Non mi rimprovero nulla e rifarei tutto ciò che ho fatto'.
Al. Gra.