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Morgia: "Sono stato e sarò sempre un tifoso della Lucchese". Ritratto di un allenatore borderline
29/11/2007 15:43

Nicola Nucci - Tuttocalcio e Corriere dello Sport
Domenica al «Porta Elisa» sarà una rimpatriata di ex
rossoneri. Volti vecchi e nuovi che sono rimasti legati alla maglia
della Lucchese: il tecnico Massimo Morgia, il portiere Alex Brunner e
l'attaccante Massimo Rastelli. Tutti, neanche a farlo apposta, sono
passati ad una squadra, il Sorrento, che ha gli stessi colori: il rosso
e il nero. Una vita in rosso-nero di Massimo Morgia, 56 anni, per la
prima volta al «Porta Elisa» da avversario. «Questi colori sono stati
il filo conduttore della mia vita calcistica: prima la Nocerina, poi la
Lucchese, il Foggia e oggi il Sorrento» sottolinea Morgia.
Stopper arcigno e combattivo di un'indimenticata Lucchese degli
anni Settanta, capitano di quella squadra che sfiorò la serie B.
Quattro anni e che ha dentro il suo cuore. La maglia rossonera per
Morgia è stata come una seconda pelle. A Lucca è si è spostato ed è
rimasto a vivere, a due passi dallo stadio «Porta Elisa». «Nessuna
maglia mi ha regalato momenti irripetibili come quella della Lucchese.
Sono stato e sarò sempre un tifoso della Lucchese» confessa a cuore
aperto il «baffo» rossonero. «Quella di domenica a livello emotivo non
sarà partita normale - dice - ma in campo devo pensare al Sorrento».
Personaggio fuori dagli schemi, ha vissuto a pieno la sua epoca
rivoluzionaria. Una generazione che voleva cambiare il mondo. Capelli
alla hippy, vena anarcoide, giubbotto di pelle e quel baffo che non ha
mai tagliato perennemente sul volto. Nella città delle Mura, Morgia
frequentava il giro degli artisti. Persona amata per il sul carattere
schietto tipico dei romani. «Sono nato nella Capitale, ma lucchese da
oltre 40 anni» racconta Morgia. «A portarmi a Lucca è stato Romeo
Anconetani, all'epoca segretario della Lucchese. Uno dei più grandi
dirigenti italiani. Sono stati quattri anni importanti della mia vita.
Peccato non essere riusciti a salire in B. Ci fu fatale la sconfitta di
Ferrara. Una trasferta emblematica. Un esodo di tifosi rossoneri, oltre
seimila. Che emozioni!».
Poi le strade si sono separate. Forse Morgia era diventato un
personaggio scomodo per il suo carisma, l'influenza nello spogliatoio e
le divergenze caratteriali con l'allenatore Meregalli. «Lui era uno
svizzero, io un sudamericano» ricorda nel libro del centenario della
Lucchese. In città negli anni Ottanta ha aperto per qualche anno un
negozio sportivo sul Borgo Giannotti (da Morgia Sport). Dopo aver
appeso le scarpette al chiodo ha iniziato ad allenare nelle giovanili
di Pisa ed Empoli. La Sarzanese in C2 la prima avventura da allenatore.
Poi Poggibonsi, Viareggio e il ciclo siciliano: promozione in C1 a
Marsala e playoff con il Palermo. Poi i playoff a Savoia, sfiorando la
B. Ancora piazze calde e blasonate: Catanzaro e Foggia. In mezzo
l'esperienza di San Marino e quella sottotono l'anno scorso a Pavia.
Eccolo di nuovo in pista a Sorrento, più carico e motivato che mai. Un
avvio scoppiettante: un pareggio e due vittorie casalinghe. Quante
coincidenze con la Lucchese. «Sono stato fortunato a partire col piede
giusto. A Sorrento ho trovato un gruppo splendido. C'è piena sintonia
con la squadra e la società. Ci sono similutidini con la Lucchese degli
anni Settanta. Anche questa è una società gestita da presidenti locali
e in squadra ci sono tanti ragazzi campani affiatati. Ho ritrovato
Rastelli, simbolo della più bella e sfrontata Lucchese, quella di
Orrico. Io e lui siamo stati eletti nella top 11 rossonera del secolo.
Oggi è il capitano del Sorrento e domenica giocherà dall'inizio». Un
Sorrento sfrontato, battagliero. Come Morgia: «Ho cambiato poco
tatticamente, a parte la difesa, da tre a quattro. Ma non sono mai
stato un dogmatico. Non mi fisso su un modulo, anche se le mie squadre
hanno tutte giocato con il 3-4-3. Il mio marchio di fabbrica è il
gioco, sempre palla a terra. Squadre portate ad attaccare, a
privilegiare le tematiche offensive e lottare sempre, dal primo
all'ultimo minuto».