Galleria Rossonera

Oltre cento anni di ritratti e personaggi

Luciano Nottoli, il grande vecchio della carta stampata

20/10/2008 23:31

E' una sorta di "grande vecchio" del giornalismo sportivo lucchese. Insieme a Emiliano Pellegrini - con il quale divide anche il millesimo di nascita e l'anno dell'inizio dell'attività professionale - è il giornalista di più antica militanza rossonera. Luciano Nottoli, di gare della Lucchese, se n'è viste davvero tante: dal 1963 la segue per La Nazione. Quarantacinque anni di impegno, di serietà, di misura, di professionalità. Mai una parola fuori posto, Nottoli è il primo ad essere disponibile se qualcuno chiede un aiuto e lo fa con uno stile che è patrimonio di pochi. Non sono qualità facili da trovare in giro. Tuttaltro. Nato nel 1945, naturalmente a Lucca, sposato, con due figli e un nipotino che è la sua felicità "è la mia gioia: gioca pure bene a pallone, a differenza dei miei figli", Nottoli ha nel suo album di ricordi professionali quasi metà degli anni in cui si è fatto calcio a Lucca. Tutto ha inizo nel 1963, a soli diciotto anni, ma non per sbaglio: "La passione per il giornalismo sportivo non è nata per caso. Sin da piccolo ho cercato di avvinarmici e in quell'anno ho avuto l'opportunità di iniziare a scrivere per La Nazione. Mi mandavano a fare le cronache dei tornei in notturna: prendevo la mia bici e via a scriver di calcio dilettantistico. Che fosse a Lucca, come a Paganico il mio mezzo era naturalmente la due ruote".

Come ti sei avvicinato alla Lucchese?
"Frequentando la redazione del giornale, è stata una cosa naturale. Prima iniziarono a inviarmi agli allenamenti, poi a fare alcune interviste e poi alle partite. Erano gli anni della serie C con Pedretti, Conti e Tampucci. Un altro mondo rispetto ad ora. Nel 1965 ho iniziato a scrivere anche per il Corriere dello Sport che mi chiese di seguire anche il pugilato perché Mazzinghi e Del Papa si stavano allenando a Colle Paradiso. I due erano nella scuderia di Sconcerti".

Il padre del giornalista sportivo Mario Sconcerti?
"Proprio lui, con Mario che ha pochissimi anni meno di me seguivamo - sempre per il Corriere dello Sport - i ritiri delle squadre siciliane in lucchesia, specialmente ad Altopascio. Da lì divenni inviato di serie C e iniziai ad occuparmi anche del calcio mercato. Il tutto senza mai lasciare il mio posto di lavoro alle Poste, perchè in quegli anni entrare stabilmente in un giornale era davvero difficile".

Dal Corriere dello Sport sei poi passato a Tuttosport.
"Sì, l'unica costante della mia vita professionale è stata La Nazione. Andai a Tuttosport quando il Corriere si fuse con Stadio nel 1986 e soprattutto con la morte del collega Paolo Galli. Quando scomparve Paolo, per me fu il momento professionale in cui ebbi maggiori difficoltà a rimettermi davanti alla macchina da scrivere. Davvero terribile, sia per me che per Emiliano Pellegrini".

Che qualità sono indispensabili per fare bene il mestiere di giornalista sportivo?                                                                                  "Bisogna amarlo, viverlo come una grande passione. E' un mestiere che richiede grande amore e sacrificio, ma devo dire che mi ha riservato anche grandi soddisfazioni ed emozioni".

Parlacene di una per tutte, o magari di un aneddoto che le riguarda. "Ne potrei raccontare tante, ma ne citerò una che è un aneddoto su Herrera. Lui, con la sua Inter, era in ritiro a Forte dei Marmi. Andai per intervistarlo e dopo una breve anticamera mi ricevette; nel mezzo della chiacchierata arrivò un cameriere dell'albergo che disse ad Herrera che c'era la Rai al telefono che lo cercava per un intervista. Il Mago gli rispose di dire loro che avrebbero dovuto richiamarlo dopo, perché al momento aveva da fare con un giovane giornalista. Altrimenti prendessero una macchina e lo raggiungessero come avevo fatto io. Avevo ventidue anni, ti lascio immaginare la soddisfazione: mi sembrò di camminare a un metro da terra".

Andiamo alla Lucchese: tante gare, qualche luce e molte ombre in tanti anni di militanza.                                                                         "Le soddisfazioni sostanzialmente sono state tre, al pari di tutti gli sportivi: la promozione dalla serie D con Lino Quilici come presidente - ed era un'altra serie D rispetto ad ora -; il ritorno in C1 con Renzo Melani e, più di tutto, l'emozione indimenticabile di quell'annata con Orrico: serie B e coppa Italia. Qualcosa di bellissimo".

Fare il giornalista sportivo nella propria città non è semplice: c'è chi vede in te un tifoso prestato alla stampa, ma comunque non obiettivo, e chi, invece, ti vorrebbe ancora più coinvolto emotivamente.     "Guarda, lo dico senza mezzi giri di parole: sono un giornalista-tifoso. La Lucchese è la squadra della mia città, ci sono cresciuto, mi ci ha portato mio padre a vederla, non potrei viverla diversamente. Detto questo, quando c'è stato da criticare e andar giù pesantemente su società, squadra, tifosi non mi sono mai tirato indietro, in alcuni casi pagandone le conseguenze".

E' rimasto storico il tuo scontro frontale con Fascetti.                  "Mah, pubblicai su Tuttosport, alla vigilia della trasferta di Pescara, un'indiscrezione che veniva dall'interno della società e che parlava di un contestuale esonero di Fascetti qualora i rossoneri fossero usciti battuti contro gli abruzzesi. Il trainer viareggino la prese molto male. La Lucchese vinse e a fine gara mi avvicinò dicendomi seccamente: "Con te non parlo più". Da lì in poi a tutte le conferenze stampa a cui c'ero io lui si alzava e se ne andava, rilasciando interviste anziché in sala stampa nei corridoi e anche davanti ai gabinetti. Durò così sino a che non fu davvero esonerato. Quella cosa gli rimase davvero di traverso, a distanza di tempo, a Bari, definì me, Del Bianco e Pellegrini "il trio folcroristico città di Lucca". Non è certo un simpaticone, ma rimane un bravo allenatore ".

Torniamo alla Lucchese, che formazioni ricordi di più, anche da un punto di vista umano, oltre che tecnico?                                     "Devo ancora tornara alla Lucchese di Orrico, era davvero un gruppo incredibile. Di quelli anni, e più in generale della gestione Maestrelli, rimane il rimpianto di aver sfiorato il paradiso e non avercela fatta. Maestrelli e un grande come Vitale non sono riusciti a far fare il salto di qualità defintivo a Lucca sportiva e forse l'appiattimento di tanti campionati a metà classifica alla fine hanno pure pesato sull'ambiente. L'altra squadra che ricordo con piacere è una Lucchese degli anni '70 con dentro Volpato, bel gruppo anche quello".

A proposito di occasioni mancate, non pensi che anche la vicenda Anconetani lo sia stata?                                                        "Quando Anconetani fece la proposta per rilevare tutta la società, gli allora vertici presero tempo, troppo tempo. Anconetani, ad un certo punto, fu drastico: "Entro 15 minuti fatemi sapere cosa avete deciso". I dirigenti cercarono di prendere tempo sino al giorno dopo e Romeo prese armi e bagagli e si spostò a Pisa. Con le conseguenze che sappiamo".

Veniamo ai giorni nostri, e alle nostre più recenti disgrazie: ti saresti mai aspettato di ritrovarti in serie D?                                            "No, francamente no. Ero convinto che in qualche modo la Lucchese sarebbe riuscita a venirne fuori e invece Fouzi Hadj ha finito per lasciare macerie e una città ridicolizzata alle prese con una categoria che non merita. Come se ne esce ora? Solo vincendo. Vincere, vincere, e ancora vincere: non c'è altra medicina per riportare un po' di entusiasmo".

Entusiasmo sportivo e Lucca: in molti sostengono che se a Lucca non ce n'è più è colpa solo di Fouzi Hadj. Eppure a Firenze (vedi vicenda Cecchi Gori e fallimento) e a Pisa (vedi campionato di Eccellenza e fallimento) sono ugualmente andati in massa allo stadio. Senza togliere le responsabilità all'ultimo presidente, non sarà che la città è un po' spenta di suo?                                                                          "Sono d'accordo. Lucca è stata grande per quel poco che si è vinto. Poi si è assuefatta alla serie B e sono iniziati i problemi. A questo aggiungi che non vinciamo nulla da vent'anni e che ci sono diverse generazioni che sono cresciute senza uno straccio di successo. Questo è il risultato".

Domanda finale, da farsi al tifoso prima che al giornalista: il giocatore che d'istinto ti è rimasto nel cuore, quello insomma di cui si tiene la maglia in camera.

"Mario Donatelli. Se ti devo rispondere d'istinto, ti dico lui. Cercai di restargli accanto anche quando ebbe quel grave infortunio ed è lui che sento più vicino di tutti gli altri, nonostante un caratterino niente male".

Fabrizio Vincenti

Fanini Group

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