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La ripartenza: come uscire dalla crisi e rilanciare il calcio in Italia prima che l'ignoranza, l'avidità e la superficialità lo condannino al fallimento

15/11/2010 10:59

Giovanni Valentini, patron di Valore Spa e azionista di maggioranza della Lucchese Libertas 1905, lo aveva consegnato una quindicina di giorni fa agli addetti dell'informazione affinché lo leggessero e ne traessero, eventualmente, ipotesi di lavoro e spunti di riflessione. Così, quando ci siamo trovati tra le mani La ripartenza - Analisi e proposte per restituire competitività all'industria del calcio in Italia di Gianfranco Teotino e Michele Uva, edito da Il Mulino, abbiamo pensato che trovare alcuni giorni per poterlo leggere con calma sarebbe stata impresa ardua. Poi, però, proprio perché il calcio è, ormai, un'industria anche se la cosa può dare fastidio ai tifosi, abbiamo deciso di cominciare la lettura.

E' chiaro, Giovanni Valentini è un imprenditore, non un santo, né un martire, né, probabilmente, un tifoso nel senso classico del termine, ma non è nemmeno quel mostro insensibile e dedito solo al dio denaro che qualcuno vorrebbe farci credere. Analizzando pagina dopo pagina, ci siamo resi conto che il calcio è, infatti, tutt'altro che un semplice evento emotivo anche se non si può nascondere che quest'ultimo aspetto abbia un ruolo importante nella gestione di una società. Ne sanno qualcosa gli azionisti di Juventus, Lazio, Roma e delle altre società, poche a dir la verità, quotate in Borsa. Basta, infatti, un risultato positivo o una voce relativa a chissà quale acquisto ed ecco che il valore delle azioni sale o precipita di conseguenza. Se andiamo a vedere l'attuale prezzo dei titoli azionari di alcune società calcistiche italiane, vedremo che esso è notevolmente inferiore a quello di emissione.

Gli autori di questo libro hanno voluto approfondire un tema importantissimo per il nostro Paese e per la nostra economia: perché il calcio, in Italia, arranca? Perché ci sono così tanti fallimenti? Perché gli spettatori diminuiscono progressivamente mentre aumentano sistematicamente gli introiti derivanti dai diritti televisivi? E questo in controtendenza rispetto alle altre Nazioni europee, dove i guadagni da diritti televisivi costituiscono una parte considerevole, ma minore che in Italia rispetto al fatturatop delle società calcistiche. Appare evidente, leggendo questo volume e avendo la pazienza di arrivare fino all'ultima pagina, che il sistema calcio, qui da noi, sta andando a rotoli all'insegna del tutto e subito e del meglio una... gallina oggi che un uovo domani. In realtà la gallina di oggi, se di gallina vogliamo parlare, è tale, soprattutto se non soltanto, per i grossi club, mentre per gli altri, non c'è nemmeno l'uovo.

Scendiamo nei particolari: Teotino e Uva, dopo aver spiegato meccanismi e intoppi, passano a elencare quelli che chiamano i fattori criticidi debolezza del calcio italiano, quelli, cioè, che negli ultimi anni hanno provocato la perdita di competitività del sistema in ambito europeo sia sotto il profilo sportivo sia sotto quello economico. Eccoli:

1) Nell'ultimo decennio la serie A ha registrato la percentuale più bassa di crescita del fatturato (da 714 a 1421 milioni di euro pari al 99 per cento), rispetto a Francia (da 393 a 999 pari al 154,1 per cento), Germania (da 577 a 1438 pari al 149,2 per cento), Inghilterra (da 995 a 2400 pari al 141,2 per cento) e Spagna (da 612 a 1438 pari al 134,9 per cento).

2) Il calcio italiano è quello che ha, fra le entrate, la maggiore incidenza dei diritti televisivi (63%) e la minore di incassi da stadio (13%).

3) Finora la distribuzione dei proventi televisivi è stata largamente appannaggio dei club più importanti, mentre negli altri paesi, esclusa la Spagna, i diritti Tv sono l'atout a disposizione dei club economicamente più deboli per ridurre le distanze competitive.

4) La serie A è l'unico campionato europeo dove negli ultimi dieci anni vi è stato un calo degli spettatori medi per gara.

5) L'Italia è il paese che ha il minor tasso di occupazione degli stadi.

6) Solo in Francia gli impianti di gioco hanno un'età media alta come in Italia: 63 anni.

7) Nessuno stadio di calcio italiano è di proprietà delle squadre di serie A e B. Soltanto la Juventus ha ottenuto il diritto di proprietà per 99 anni sul suolo dove sorgeva il suo impianto e ha deciso di costruirne uno nuovo.

8) L'Italia resta saldamente all'ultimo posto nella classifica europea degli investimenti per la ristrutturazione degli stadi.

9) Anche i ricavi da sponsorship e merchandising sono i più bassi d'Europa (24% contro il 43% della Germania, leader in questa classifica).

10) Il costo del lavoro nei club calcistici italiani è più o meno all'altezza di quello della concorrenza, ma il rapporto 'salari+ammortamenti/fatturato' (circa il 90%) è il più alto d'Europa.

Non è finita, ce ne sarebbero altri di motivi per essere pessimisti. Preferiamo, però, fermarci qui. Chi leggerà queste poche righe, si renderà conto di come, oggi, gestire una società di calcio non è più come trent'anni fa. Certo, si tratta pur sempre di un'azienda speciale, diversa dalle altre, ma sempre di azienda si tratta e di costi e ricavi si parla. Lucca ha l'occasione giusta per ripartire anzi, partire in testa al gruppo perché è inevitabile, se si vorrà dare un futuro al calcio, seguire la stessa strada.

Al. Gra.

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