Leviamo i ganzi di loggia
Il punto di Aldo Grandi
Ho scommesso quindici euro sulla vittoria della Lucchese. Un modo come un altro per continuare a crederci
08/02/2008 14:57
Aldo Grandi - La Nazione
Qualcuno potrà anche dire che sono pochi. E, magari, avrà anche ragione. Io, però, è bene premetterlo, non amo giocare né scommettere. Non mi è mai piaciuto affidarmi al fato. Questione di carattere e convinzione: la vita, uno, se la crea da sé. Detto questo, l'importante, credo, sia stato l'agire di impulso, sull'onda emotiva di chi, ancora una volta, si rimette in gioco e ha voglia di entusiasmo. Dieci euro sulla vittoria rossonera scommessi con un collega che ha preso il pari e cinque alla Snai. Lo so, è un gioco, ma che cos'è, almeno per noi, il calcio, se non un gioco maledettamente serio? La Lucchese sfida, domenica, la prima della classe in uno stadio, l'Arechi, che ospita, generalmente, quindicimila tifosi granata. I supporters rossoneri arriveranno, presumibilmente, a poco più di cento. Ma cosa importa, questo, davanti all'entusiasmo, alla voglia di crederci fino in fonso, alla disponibilità a sacrificare tempo, famiglia, amici pur di continuare a pensare che un sogno sia realizzabile?
E' vero, la vita, in sostanza, è cosa ben diversa da una partita di pallone. Però, a ben vedere, non è nemmeno, poi, così lontana. Per riuscire, nella prima come nella seconda, occorrono umiltà, grinta, volontà, ambizione, insoddisfazione, voglia di migliorarsi. In un vecchio libro, Il vangelo della ricchezza, di Andrew Carnegie, il re dell'acciaio degli anni Venti e Trenta, l'autore sosteneva che per avere successo serve un ingrediente fondamentale: la spinta interiore che soltanto la fame, nel senso metaforico e non solo, del termine, può dare.
Ecco, Carnegie, uno degli uomini più poveri diventati, successivamente, uno dei più ricchi del mondo, insegnava ai suoi allievi, alle conferenze cui veniva invitato, il valore dell'umiltà e della volontà di migliorarsi. Questo, con le dovute differenze, ha provato, riuscendoci in parte, a inculcare Piero Braglia alla sua truppa. Che ha perso, inutile nasconderlo, quella verve e quella fame che aveva prima della sosta natalizia, quel correre uno per tutti e tutti per uno, quel darsi una mano come se quella mano fosse l'unica ancora di salvezza pena il precipitare nel burrone dell'anonimato e del fallimento. Ora questa truppa deve ritrovarsi e l'occasione di Salerno è di quelle, per gli stimoli che riesce a fornire, da non perdere. Andare in campo con la bava alla bocca può essere un suggerimento interessante, a patto che anche l'intelligenza vada a braccetto con la forza e la rabbia.
Quindici euro, quindi, scommessi su una vittoria che, se arrivasse, sarebbe la svolta del campionato. I Braglia Boys, intendiamoci, fino ad oggi hanno fatto molto di più di quello che chiunque altro, al loro posto, avrebbe fatto. Hanno giocato adattandosi a situazioni economiche non certo straordinarie, hanno dimostrato che la maglia che si indossa non è solo questione di soldi. Non devono mollare, però, proprio ora. Perché la sensazione è che qualcosa si stia muovendo e che il presidente stia ritrovando, piano piano, lo smalto dei tempi migliori. E se anche Fouzi Hadj non lo avesse ancora capito, sarà bene che si renda conto che questa squadra, questi ragazzi, questo staff tecnico - dall'ultimo dei dipendenti al primo dei dirigenti - hanno bisogno di lui e delle sue potenzialità e disponibilità. Noi sappiamo che lo ha capito perfettamente. Non è uno abituato a mollare e non mollerà. Il ritorno di immagine in caso contrario sarebbe, per lui, devastante e se lo conosciamo come pensiamo di conoscerlo, la sua caparbietà proverbiale non lo permetterà.
A Salerno, quindi, per un ulteriore sforzo. Ognuno faccia la sua parte. Poi, alla fine, si tireranno le somme e se ci saranno dei riporti non saremo noi a nasconderli così come se ci saranno degli errori o, peggio ancora, delle clamorose, colpevoli sviste, quelli e queste saranno esposte al pubblico ludibrio. Ma fino ad allora tutti uniti per un unico obiettivo.