Leviamo i ganzi di loggia
Il punto di Aldo Grandi
Vola solo chi osa farlo: i Braglia Boys meritano il rispetto e la stima della città
06/12/2007 15:30
Aldo Grandi - La Nazione
Chi ha letto la Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare
dello scrittore cileno Luis Sepùlveda, ricorderà bene l'incipit del
libro. Ebbene, crediamo di non andare molto lontano dal vero asserendo
che qui, a volerla dire tutta, se c'è qualcuno che ha volato rischiando
spezzarsi l'osso del collo, ma dimostrando di saperlo fare, quello è
stato ed è Piero Braglia. Il suo coraggio, la sua determinazione, la
sua volontà ferrea hanno avuto la meglio sullo scetticismo degli
scettici e sul disfattismo dei disfattisti che, a dire la verità, non
solo non sono mai mancati, ma proliferano da ogni parte anche dopo
queste due ultime, splendide vittorie contro Lanciano e Sorrento.
Come sarebbe stato assurdo abbattersi dopo la batosta con la
Massese, adesso sarebbe sciocco e autolesionista esaltarsi. Siamo
ancora all'inizio, ma, sicuramente, è stata imboccata la strada giusta
e non tanto per i giocatori scelti per questa sorta di Mission
Impossible che è allenare e vivere alla Lucchese, quanto per la grinta,
il cuore e la consapevolezza delle proprie possibilità. E' nato un
gruppo, i B. B. che non vuol dire Banda Bassotti, ma Braglia Boys,
quindici uomini - ma saranno 14? E perché no 13? O anche 16? - pronti a
lottare fino in fondo anche a dispetto delle difficoltà interne, delle
promesse da mantenere, della realtà spesso esageratamente ardua da
affrontare. I B. B. hanno scelto di seguire il loro tecnico sin da
Castellammare di Stabia, passando per Potenza, Perugia, Lanciano, Lucca
e, domenica, Pistoia. Hanno deciso di stare di qua o di là del guado,
ma di non fermarsi nel posto peggiore: ossia lì in mezzo, dove non sei
né carne né pesce, dove non puoi fare altro che aspettare che siano le
circostanze a determinare il tuo destino. Invece no. Hanno scelto di
stare di qua, dalla parte della società, di Silvio Giusti, di Fouzi
Hadj, di Piero Braglia. E lo hanno fatto con un attaccamento ai colori
sociali e alle proprie responsabilità che merita solo e soltanto
rispetto e ammirazione da parte della città intera. In un mondo dove
solo il denaro conta, stanno dimostrando che esistono anche altri
valori quali l'onestà, la dignità, la volontà, l'amor proprio. E
scusate se non è poco. Soprattutto di questi tempi.
Questi ragazzi e il loro allenatore hanno bisogno di noi. Di
tutti, indistintamente, della città, dell'amore della gente. Il calcio,
diceva Pier Paolo Pasolini, è l'ultima rappresentazione sacrale. Ed è
vero. E' anche l'ultima arena dove emergono, quasi sempre, valori e
potenzialità che, altrove, vengono sovente mortificati. Noi siamo tra
coloro che nel calcio non guardano e non vedono né gli schemi né le
tattiche, ma gli uomini, perché il calcio è fatto anche, se non
soprattutto, di motivazioni, cioè di cuore, anima, cervello. Questo
potrebbe essere l'anno buono per toglierci qualche soddisfazione. Non
possiamo permettere che passi inutilmente senza averci almeno provato.
Vola solo chi osa, è vero. Nel calcio e non solo. Nella vita, poi,
quasi sempre. A Braglia riconosciamo questo merito, di aver capito che
tra il calcio e la vita esiste una equivalenza di sostanza, se non di
forma. Cari presidi, chiamatelo ad insegnare nelle scuole, a raccontare
che cosa significa osare e credere in ciò che si fa. Meglio di tante
pagine scritte che non trasudano emozione. Ed è di questa, scusate, che
i ragazzi hanno bisogno. Per credere nel futuro. Non solo sportivo.