Leviamo i ganzi di loggia
Il punto di Aldo Grandi
Fouzi Hadj, il cerchio si è, ormai, chiuso. La Guardia di Finanza sta ritardando la consegna della relazione al pm Capizzoto perché ha trovato nuovi filoni di indagine che stanno riservando sorprese e risolvendo misteri
18/11/2009 00:01
E' di poche ore fa la notizia che la Guardia di Finanza non ha
ancora consegnato al pubblico ministero Piero Capizzoto la relazione
sul fallimento della Lucchese Libertas di Fouzi Hadj perché, in queste
ultime settimane, si è imbattuta in nuovi filoni di indagine giudicati
di estremo interesse e che porterebbero le ricerche all'estero dove,
fino ad ora, era stato un rebus complicatissimo anche solo riuscire a
orizzontarsi. Al di là delle considerazioni di carattere tecnico sulle
motivazioni che possono aver spinto così tanta gente a credere in Fouzi
Hadj, ce n'è una che a tutti - o quasi - sin dall'inizio, è apparsa,
erroneamente, irrilevante. Quella, cioè, della provenienza del denaro
investito nella società rossonera. In realtà i rotoli di biglietti da
cinquecento o cinquanta euro che arrivavano direttamente dalla Svizzera
o da qualche altra frontiera (Francia) avevano, per buona parte, una
origine sconosciuta e una destinazione ancora più nebulosa.
Ora le Fiamme Gialle lucchesi avrebbero scoperto un filone che
porta oltreconfine e che ha reso possibile, probabilmente in
collegamento con gli investigatori che, a Genova, stanno facendo pelo e
contropelo all'ex presidente rossonero, portare alla luce episodi e
operazioni decisamente poco ortodosse. Da dove, Fouzi Hadj,
avventuriero o faccendiere che dir si voglia, prendeva i soldi che,
poi, ha investito pagando allenatori, fornitori, calciatori, dirigenti
e chi più ne ha più ne metta? Hadj aveva soldi provenienti dai suoi
traffici. Del resto lui stesso ha raccontato più volte di essere stato
tra i primi a partire in aereo da Milano per volare in Ucraina per
comprare e rivendere, poi, al miglior offerente. Siamo agli inizi degli
anni Novanta e Hadj era solito dire che sull'aereo diretto a Kiev
c'erano solo lui e pochissimi altri. Un pioniere della caduta del muro
di Berlino, uno che ha comprato intere aziende pagandole e, una volta
avutele con l'impegno di mandarle avanti, le smobilitava quasi
completamente aspettando che diventassero aree edificabili per, poi,
rivenderle ad un prezzo di parecchie volte superiore.
Speculazione. Che cosa aveva da vendere Fouzi Hadj alla Guinea
Conakry, Africa equatoriale? Lo hanno appurato gli agenti della Guardia
di Finanza lucchese ed è giusto che siano loro, tra la fine dell'anno e
inizio 2010 quando saranno resi noti i risultati definitivi
dell'indagine, a raccontare cosa è veramente accaduto. Hadj godeva di
alte protezioni in Guinea, dove il presidente dittatore Lazana Conté,
vecchio e malato, aveva per lui una sorta di ammirazione
incondizionata.
Un bandito hanno detto in molti. Forse, ma affascinante, con dei
modi gentili, generoso, apparentemente, perfino troppo ingenuo. Franco
Scoglio giurava e spergiurava sulla buona fede del suo amico, ne
tesseva le lodi incondizionate e, presumibilmente, Fouzi Hadj ha subìto
l'ascendente calcistico dell'ex allenatore del Genoa al punto da
seguirlo nella pazza idea di entrare nel calcio, sicuro che, in un paio
di anni, l'attività sarebbe diventata redditizia. Certo, i soldi in
dollari che arrivavano a Lucca dovevano essere frutto di attività non
proprio regolari se si sentiva il bisogno di non farle nemmeno
apparire. Gli uomini delle Fiamme Gialle hanno seguito, per trovare il
bandolo della matassa, il denaro, come da sempre consigliano i più
preparati e scafati tra i detective.
Di fronte a questi aneddoti l'attuale dirigenza rossonera è
davvero paragonabile a un neonato appena uscito dal ventre materno:
pulita e immacolata. Davvero c'è da chiedersi come sia stato possibile
far finta che anche le mezze parole e le palesi invenzioni dell'ex
presidente rossonero avessero un senso o una affidabilità, ma così è
stato. Eppure, riandando indietro con la memoria, come non ricordare le
liti continue, le gelosie tra dirigenti, l'ufficio più grande e quello
più piccolo, una corte dei miracoli dove ognuno aspettava, in
adorazione, l'investitura quotidiana del Re Mida di turno. Peccato che
i soldi gli venivano dati per farli fruttare, per farli girare, non
certamente per buttarli dalla finestra. In questa sorta di meccanismo
infernale sono finiti in tanti e alcuni sono rimasti con le ossa rotte,
rimettendoci credibilità, salute fisica e mentale, soldi. Eppure anche
lui, anche il business sirioarmeno, è arrivato al punto di impegnare i
gioielli di famiglia nella speranza di poter ricavare i 70-80 mila euro
per pagare gli stipendi ai giocatori o a cercare di ottenere un mutuo
di 400mila euro ipotecando una casa di proprietà familiare. Solo che il
risultato fu, nel primo caso, quello di portarsi a casa, a malapena,
sette, ottomila euro; nel secondo, addirittura, di vedersi rifiutato il
finanziamento dalla banca in dirittura di arrivo.
Se un uomo, quindi, bandito o incosciente che sia, getta al
vento milioni di euro e arriva a impegnare i preziosi a lui cari, non
può essere solamente un malvivente cronico, ma, piuttosto, un parvenu
incapace. E questo lo devono aver capito anche i suoi soci, quelli che,
da Ginevra, gli avevano promesso il famoso bonifico di 2 milioni di
euro, ma che, alla fine, non hanno inviato, giustamente dal loro punto
di vista, perché non sarebbero serviti se non a prolungare un'agonia
irrimediabile. Fouzi Hadj aveva sbagliato tutto: allenatori, dirigenti,
giocatori. Un incapace con la I maiuscola. Uno che, forte del denaro
acciuffato nei modi più impensati e impensabili, si era convinto di
essere un genio. Un uomo, sostanzialmente, prepotentemente,
ineluttabilmente e inevitabilmente solo, arroccato in una splendida ed
ex dorata solitudine a picco sul mare in quel di Pieve Ligure. Un
maniero a tre piani che anche le autorità giudiziarie italiane hanno
posto nel mirino.
(2 - Continua)
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Qualcuno si domanderà perché, nonostante siano passati due anni
dal disgraziato fallimento della Lucchese Libertas 1905, si parli
ancora del business armeno Fouzi Hadj. Chi scrive ritiene che la
memoria storica meriti una certa considerazione e che, effettivamente,
a distanza di qualche tempo dall'epoca in cui si sono verificati i
fatti presi in esame, si possa riuscire ad esaminare la questione con
maggiore obiettività. Cui prodest? potrebbe domandarsi
qualcuno. A nessuno, probabilmente, ma sono convinto che ci siano
ancora molte persone che si domandano perché così tanta gente ha potuto
dare fiducia a un uomo che ha portato alla rovina una società dal
passato glorioso e ultracentenario.
Fare un parallelo, poi, con l'attuale dirigenza potrebbe anche
sembrare un assurdo o una provocazione, ma, in realtà, esso fornisce
una chiave di lettura straordinariamente significativa sui modi e le
capacità di gestione di una società e di un gruppo. Non a caso, del
resto, i grandi imprenditori sanno, prima di tutto, scegliersi i
collaboratori giusti e più fidati il che non vuol dire servi sciocchi.
Questi ultimi se li va a cercare colui il quale ha paura di non avere
tutto sotto controllo, che ha fonadmentalmente una cronica incapacità a
saper organizzare un gruppo lavorativo o di qualsiasi altro genere. Un
famosissimo generale americano della seconda guerra mondiale, disse una
volta che lui, ai suoi soldati, non diceva mai come fare una cosa,
semplicemente indicava loro cosa voleva e lasciava che si
industriassero, creativamente, nel cercare di farla nel miglior modo
possibile. Dava loro, in altre parole, fiducia e libertà di dimostrare
a se stessi e agli altri la propria capacità.
Già questa premessa dovrebbe far capire come l'attuale dirigenza
della Lucchese stia, effettivamente, seguendo questo principio
traendone, per di più, un beneficio costante e duraturo. Paolo
Giovannini e Giancarlo Favarin da un lato, Giuliano Giuliani e il socio
Valentini dall'altro, convivono e convolano senza problemi almeno
apparenti e con un unico obiettivo. E' vero che tutto va bene e non si
sa che cosa accadrebbe se tutto andasse, improvvisamente male, ma è
altrettanto certo che se tutto va per il meglio è perché qualcuno -
tutti - si sono adoperati affinché ciò avvenisse.
(1 - Continua)