Erimo bàmbori

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Vizi e virtù dei lucchesi passati al setaccio della lente di un cronista... innamorato

09/12/2010 10:11

Una premessa è d'obbligo quando si affronta un tema così spigoloso e controverso come quello della cosiddetta lucchesità. Esattamente come quando si affronta la questione calcistica e l'attuale dirigenza societaria rossonera. In quest'ultimo caso, prima di parlare, bisogna pensare e contare fino a dieci, poi, magari, non farne di niente: senza Giuliani e Valentini, saremmo, probabilmente, ancora in serie D o in C2. Per la lucchesità, ossia per pregi e difetti dei lucchesi, ancor prima di iniziare è necessario dire che, nonostante quasi tutti si divertano a sparare, metaforicamente, al lucchese rimproverandogli questo o quel comportamento, alla fine gli stessi ipercritici - che non sempre hanno torto - finiscono, irrimediabilmente, per acquistarci la casa e trasferirci la residenza. Senza che, si badi bene, nessuno glielo abbia chiesto, tantomeno i lucchesi stessi.

Il libro di Remo Santini, collega della Nazione, americano di nascita, capanorotto, come dice lui, di adozione, ma profondamente lucchese nell'animo (Lucchesità vizi e virtù edito da Maria Pacini Fazzi, pp. 106, 13 euro) è stato presentato ieri sera con ospiti illustri del panorama politico-istituzionale-economico cittadino in un nuovo angolo di Lucca che si affaccia sulla piazzetta della Grotta, dietro l'Anfiteatro. Il libro, che si legge al volo, è utile, soprattutto, per tutti coloro che, sbarcando a Lucca in cerca di pace e di calore umano, lontani dall'egoismo e dalla frenesia delle grandi città, pensano che costruirsi una nuova vita sia cosa facile facile. Ebbene, assolutamente no. Lucca è come una donna straordinariamente attraente, ma poco disposta a concedersi, intrigante e maliziosa, ma mai sguaiata, per la quale è necessario un corteggiamento impegnativo e sincero se la si vuole conoscere sino in fondo. Il mordi e fuggi non si addice a questa città che rifiuta, giustamente, l'omologazione con le altre che, in quanto a toccata e fuga sono diventate, ormai, dominate, possedute e abusate. Chi si avvicina alle Mura, perciò, è meglio che lo faccia con circospezione e rispetto, con lo stato d'animo di chi entra in una casa in punta di piedi chiedendo il permesso.

Chi scrive ha il non ancora eguagliato record di essere l'unico giornalista straniero piovuto a Lucca e rimastovi fino ad eleggerla come sua residenza definitiva. Ha lavorato vent'anni fianco a fianco con Remo Santini e sa, per averglielo sentito dire decine di volte, quanto, per lui, il tema della lucchesità e dell'importanza di custodire nonché promuovere la città e il carattere dei suoi abitanti, siano diventati una sorta di mission più o meno impossible. Così, dopo aver acquistato il libro, si è messo di buona lena a leggerlo per poterne parlare adeguatamente. In questo Paese, purtroppo, esiste il brutto difetto di parlare e, addirittura, scrivere di un libro senza mai averlo letto.

Fa bene, il caposervizio della Nazione, a partire con un pugno nello stomaco citando le impressioni che, sui lucchesi, hanno avuto Cesare Garboli e Mario Tobino i cui stati d'animo, verso questa città erano, tuttavia, molto diversi. E fa bene a chiedersi se in quelle parole, dure fino all'eccesso, ci sia un fondo di verità. Santini è, sicuramente, uno di parte, nel senso che è orgoglioso di essere lucchese così come sa di utilizzare i presunti difetti come una sorta di passpartout per giungere all'elencazione dei pregi e tracciare un bilancio, a suo avviso, estremamente positivo dell'esser lucchesi. Ma non lesina le critiche e, soprattutto, lancia delle proposte più o meno futuribili o futuriste che potrebbero lasciare, ad un primo, superficiale esame, sbigottiti. Ecco, alcuni di questi suggerimenti - verrebbe da dire quasi tutti - sono assolutamente realizzabili e auspicabili, a partire dall'idea di realizzare una galleria del Fillungo all'abbattimento di quell'orribile palazzo che si trova accanto a piazza Napoleone. Il problema, però, è un altro: chi decide per chi? E, ancora di più, chi indennizza chi?

Santini è americano non solo di nascita, ma anche di spirito. Non è di Lucca drento e anche lui, un po' come chi proviene da fuori le Mura, ha dovuto faticare per accedere al cuore cittadino. Quando sostiene la pressoché inutile decisione di trasferire il monumento di Ilaria del Carretto all'interno di un museo invece di essere visibile, quantomeno in determinate occasioni, anche fuori dalle quattro mura; quando sostiene che bisognerebbe far pagare l'accesso alle principali chiese cittadine, ebbene, quando dice, più o meno, queste cose, ha ragioni da vendere. Così come quando spara, anche troppo debolmente, contro l'Unesco per non aver ancora inserito Lucca nell'elenco delle realtà considerate patrimonio dell'umanità. Peggio per l'Unesco, però, perché, poi, l'importante è che la città resti patrimonio dei lucchesi.

Leggendo le riflessioni di alcuni tra i personaggi più significativi della realtà cittadina, emergono considerazioni intelligenti e foriere di spunti accattivanti. Per quasi tutti gli intervistati la lucchesità è un modo di essere e di vivere che, sia pure con qualche cambiamento, si è protratto nel corso dei secoli. E se Lucca è quello che è, architettonicamente parlando, è perché a Lucca esiste un senso della collettività e un tessuto civio e civile raramente rintracciabile in altre zone della Penisola. Egoisti i lucchesi? Troppo snob? Riservati fino all'inverosimile? Diffidenti? Capaci solo di godere delle disgrazie e degli insuccessi altrui? Può darsi, ma, come dice bene Santini, stiamo parlando della capitale del volontariato, stiamo parlando di una città che preferisce tollerare e stare a guardare piuttosto che sbraitare e inveire, stiamo questionando su una città che è stata capace di mantenersi indipendente e, addirittura, Repubblica, fino all'arrivo dei francesi. E scusate se è poco. Di una città i cui ncommercianti e uomini d'affari hanno prestato i nsoldi alle più importanti e sfolgoranti corti d'Europa, hanno percorso in lungo e in largo le strade del continente piazzando i propri tessuti o fuggendo perché, con la Riforma protestante, cercavano orizzonti più allargati. Guerrieri, presidente della Camera di Commercio, ha ragione. Così come il pittore Possenti. Certo, può anche darsi che questo mito della lucchesità sia un luogo comune tramandatosi per secoli e buono per tutte le stagioni. Così, almeno, sostiene lo storico dell'arte Silva. Ma esiste. Eccome se esiste. Questo piccolo volume stampato da Maria Pacini Fazzi potrebbe e dovrebbe essere consegnato a tutti coloro che, avendo deciso di mettere radici - per un mese, per un anno, per un secolo - a Lucca, hanno voglia di andare al di là delle aparenze che, spesso, più o meno volutamente, sono anche sostanza, ma nessuno, si sa, è perfetto.

Il libro è scritto bene, da cronista quale è sempre stato il suo autore. Scorre, quindi, via veloce, senza costringere il lettore a prendere fiato per respirare. Anzi. Unica pecca, se così vogliamo chiamarla, ma è dettata, a nostro avviso, dallo sconfinato amore per questo gioiello senza prezzo chiamato Lucca, la si riscontra quando l'autore si diletta e si dilunga in improbabili colloqui con cose inanimate come, ad esempio, la Torre Guinigi. Ha, pur tuttavia, ragione, quando aggiunge che, a differenza di qualunque altra città del mondo - e, almeno, fino a prova contraria - essa è l'unica torre sulla quale vivono e crescono degli alberi. Concludiamo scrivendo che un libro del genere andrebbe messo in vendita in quei luoghi, come la stazione ferroviaria o piazzale Verdi e all'Apt, magari anche all'ingresso di ogni Porta cittadina, attraverso le quali turisti e visitatori più o meno distratti accedono al cuore della città.

   

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