Leviamo i ganzi di loggia

Il punto di Aldo Grandi

Come eravamo ...

31/08/2007 19:14

 

Aldo Grandi - La Nazione

E' passato poco più di un mese dalla partenza, a metà luglio, della truppa rossonera per Pievepelago. Giorni in cui, alla routine noiosa e tipica dei ritiri, si sono alternati veri e propri colpi di scena. A cominciare dal più eclatante, la convocazione prima, il siluramento poi, di Toni Carruezzo. Il bomber rossonero era piovuto in Lucchesia dopo aver trascorso un periodo di vacanze a Brindisi ed era caricato come non mai. Gli sono bastati, però, un paio di giorni all'albergo Bucaneve per capire che per lui non era aria, fare le valige e tornarsene nella sua casa di Farneta. Sono stati momenti bui, gestiti, tuttavia, con sapiente pazienza da un Silvio Giusti che si è preso le critiche, anche gli insulti, di coloro che lo hanno ritenuto responsabile della rottura. Crediamo di non andare troppo lontano dal vero dicendo che il direttore sportivo rossonero non ha grandi responsabilità, ma, anzi, il merito di aver assunto, sin dall'inizio, il ruolo di parafulmine per proteggere la squadra, il tecnico, il presidente. E pensare che uno così Gigi Simoni e Fabrizio De Poli lo tenevano in disparte a redigere relazioni che nessuno si prendeva la briga di leggere.

Se un errore è stato commesso nei confronti di Eupremio Carruezzo, persona squisita, innamorato di Lucca e della Lucchese, è stato quello di avergli comunicato la decisione di non rientrare più nei programmi della società solo a ritiro iniziato. Forse qualcuno poteva anche svegliarsi un po' prima, ma questo è il calcio o, forse, dovremmo dire che questo è il mondo. Roba per palati non proprio fini né per educande. Lo sa Carruezzo, lo sanno Giusti, Braglia e Hadj. Se nella vita, del resto, si rompono unioni decennali, non si capisce perché ciò non possa avvenire anche nel circuito del pallone.

A Pievepelago c'era un ragazzo che correva su e giù per la collina di fronte la chiesa del paese, sotto un sole cocente, a sputare sangue mentre i Volpara e i Renzetti, complice una colazione a base di caffèlatte, erano lì, a vomitare fatica e residui alimentari. Era Alessandro Monticciolo, uno che a Lucca non ha mai avuto vita facile, uno che il presidente Fouzi Hadj aveva voluto per quattro anni quando tutti gli dicevano che avrebbe fatto bene a farlo firmare solo per due. Monticciolo è stata, per il plenipotenziario rossonero, la prima cotta e, come tutti i primi amori, non si scordano mai. Purtroppo, però, per lui e per la Lucchese, prima Simoni e poi Pea, non lo hanno utilizzato a dovere e il centrocampista di Follonica, a onor del vero, ci ha messo del suo per farsi prendere sulle scatole. Ma tant'è. Il Monti ha girato in lungo e in largo la penisola, dimostrando di avere carattere e, soprattutto, la bocca buona di uno abituato a vivere da solo, a sponsorizzarsi da solo, a dire sempre e comunque quello che pensa. Roba rara e non facile a gestire di questi tempi.

Comunque sia il Monti, una mattina a Pievepelago, fine luglio o giù di lì, ebbe ad accettare un'intervista di chi scrive nel corso della quale si lanciò in una serie di elogi sperticati di Piero Braglia, un allenatore con cui, esordì, ‘mi sembra di aver lavorato da sempre. Una persona come me, che dice sempre quello che pensa, che sa motivare i giocatori, un vincente'. Più o meno era questo il senso delle parole. Poche ore dopo, nel tardo pomeriggio, una telefonata sul cellulare mi pregava di soprassedere, perché il Monti era stato a colloquio, un lungo faccia a faccia, con Pierino la peste il quale gli aveva fatto capire che per lui non c'era più spazio alla Lucchese. Una botta tremenda, un colpo difficile da ammortizzare. E, invece, Alessandro Monticciolo se ne è fatta una ragione, ha metabolizzato la cosa, l'ha digerita e dopo aver battuto cassa ha infilato l'auto e si è diretto verso la sua nuova destinazione: Gallipoli, estremo lembo d'Italia, in fondo allo stivale.

A Pievepelago sono saliti anche altri calciatori che, più tardi, avrebbero preso altre strade: Fabio Concas, il sardo dal cognome che suonava tanto argentino; Emanuele Volpara, la promessa mai mantenuta che, alla fine, si è dovuto ridurre l'ingaggio per approdare in una squadra e poter, si spera, dimostrare il suo valore; Francesco Nardi, una meteora che, sbarcato in Maremma al Gavorranoin C2, dopo un paio di allenamenti se ne è tornato a casa a meditare; Terim Aziz, il maghrebino dal fisico possente che non aveva paura di metterci il piede, anche nei contrasti più duri; Michael Carusio, il difensore dalla faccia di bambino, anche lui in attesa di una definitiva consacrazione in categoria; Francesco Micco, l'uomo che in ritiro è arrivato preceduto da un paio di certificati medici che avevano già fatto storcere la bocca a uno che, come Braglia, già santo non è. E, infatti, si è visto come è andata a finire.

Di acqua sotto i ponti, dai tempi di Pievepelago, ne è passata parecchia. E non sempre chiara e limpida come quella del torrente in cui, subito dopo ogni allenamento, i rossoneri andavano a smaltire tossine e stanchezza. Eppure sin dalle prime amichevoli in terra emiliana si è percepita la fame di risultati che anima la tifoseria rossonera, una fame che Piero Braglia, vero e proprio valore aggiunto di questa annata e di questa squadra, ha il non facile compito di soddisfare. Per farlo, ha bisogno di sostegno, di fiducia, di organizzazione societaria, di sapere che può e deve occuparsi solo e soltanto di ciò che accade sul rettangolo di gioco e nello spogliatoio. Se tutto andrà come dovuto e se ciascuno farà quello che deve fare, è molto probabile che anche l'anno prossimo si torni, con ben altro spirito, all'albergo Bucaneve di Pievepelago, Appennino Tosco-emiliano.

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