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Davide Quironi e quello schiaffo di Orrico prima dell'esordio in serie B con l'Ascoli

08/01/2008 11:59

Dici Davide Quironi e ti vengono in mente gli anni più belli della Lucchese anni Novanta: dal giugno 1990 al novembre 1995. Nato a Guidonia Montecelio il 22 ottobre 1968, segno zodiacale Bilancia, in sostanza una 'cuspide', ossia a cavallo tra due segni, l'altro è lo Scorpione. Carattere tranquillo, affabile, esuberante. Appesi guanti e scarpette al classico chiodo, ultimo anno di calcio giocato a Foggia proprio con Piero Braglia, nel 2001, in C2 - eliminati ai play-off dall'Acireale - ha lavorato per il settore giovanile della Lucchese, poi della Fiorentina e, quindi, ha allenato i portieri del Castelnuovo fino alle dimissioni di tutto lo staff tecnico seguite alla vendita della società gialloblù da parte di Alfio Marchini a Girotti.

In che ambiente calcistico sei cresciuto?

'Sono cresciuto nella Lodigiani Calcio, quella che adesso è la Cisco Roma. Poi sono passato al Trento, in C1, dove sono stato convocato nella nazionale Under 21 di C1, quindi al Licata in serie B e, successivamente, alla Lucchese in serie B dove sono stato fino al 1995. Ricordo il mondo della Lodigiani, uno dei migliori settori giovanili a livello nazionale e la terza forza dopo la Roma e la Lazio a livello regionale. Ricordo che vincemmo nell'82 il titolodi campioni d'Italia Giovanissimi Professionisti battendo in finale il Torino. Tra i granata c'erano Fuser e Bresciani'.

Perché sei diventato portiere?

'A livello Giovanissimi mi avevano fatto decidere a me se diventare portiere o centravanti visto che mi trovavo benissimo in entrambi i ruoli. Poi, però, è quello che ti senti dentro che ti spinge a scegliere. E io ho scelto di fare il portiere'.

Quali sono le caratteristiche tecniche e umane che deve possedere, secondo te, un buon numero uno?

'Il carattere e la personalità sono fondamentali. Giocando in porta bisogna comandare il reparto difensivo ed essere leader, perché quando si prende un gol bisogna saper reagire e anche se il portiere ha sbagliato, deve dimostrare di avere personalità e capacità di reazione. Inoltre, ora come ora, è fondamentale l'aspetto fisico, nel senso che un portiere deve essere alto minimo un metro e 88, un metro e 90 centimetri. Questo perché con i nuovi metodi di lavoro tecnico riesce notevolmente a migliorare. Se uno ha una statura inferiore, trova parecchie difficoltà'.

Arrivi a Lucca: qual è la prima impressione?

'Partiamo dal fatto che ci sono rimasto a vivere, quindi la città è fantastica. La società era un modello, i dirigenti erano Egiziano Maestrelli e Pino Vitale, due persone che di calcio si intendevano alla grande. Trovai un tecnico che, se anche non mi ha fatto giocare tantissimo, mi ha insegnato molto. Per esempio giocare a zona, i movimenti tattici, anche i metodi di allenamento che nell'arco dei miei anni di carriera ne ho visti ven pochi di simili'.

L'esordio in maglia rossonera?

'Sempre nel 1990-91 con l'Ascoli al Porta Elisa. Il titolare in porta era Giampaolo Pinna. Si infortunò e toccò a me sostituirlo. La gara finì 1 a 1 e disputai, credo una buona partita. Presi gol dal brasiliano Casagrande mentre per noi segnò, credo, Rastelli'.

La gioia più grande con la Lucchese?

'L'anno che tornò Orrico e mi diede fiducia. Feci 35 partite e feci tutto il campionato. Ci salvammo a quattro, cinque giornate dalla fine. Rammento la prima di campionato, quando giocammo ad Andria e io feci una gara eccezionale e il presidente Maestrelli mi disse subito dopo che l'anno successivo mi avrebbe venduto in serie A'.

Come amdò a finire?

'Andò a finire che rimasi a Lucca e l'anno dopo venne Fascetti. Fu preso Di Sarno dall'Udinese e io trascorsi tutta la stagione in panchina'.

Un'occasione sprecata.

'Sì, anche perché l'anno prima avevo fatto anche l'Under 21 di serie B ed ero stato dall'andare a giocare con il Parma in serie A. Molta amarezza, quindi, perché dalla serie A alla panchina il alto era notevole'.

Chi ti ricordi di quel gruppo?

'Ricordo tutti, un gruppo veramente di amici. La maggior parte è rimasta a Lucca e ancora oggi ci frequentiamo. Questi amici siamo io, Silvio Giusti, Gabriele Baraldi, Bruno Russo, il povero Sandro Vignini che, ora, non c'è più, Lulù Di Stefano che ora allena il Prato, poi anche Roberto Simonetta, Roberto Paci, Francesco Monaco allenatore dell'Ancona. Qualche aneddoto? Ricordo un aneddoto di Orrico il giorno che dovevo esordire contro l'Ascoli. Lui mi pesò il sabato mattina e invece di essere 76 chili ero 76 chili e 300 grammi. Tre etti in più. Mi fece una multa e mi mise le mani addosso, bonariamente. Ero al peso e da dietro mi arrivò uno schiaffo che mi attaccò alla bilancia. Reagì in silenzio perchè il giorno dopo dovevo giocare e era la mia grande occasione'.

Quando si spengono i riflettori, quando non si è più al centro dell'attenzione, che cosa manca di più all'ex calciatore?

'A me quello che è mancato di più è il campo, l'andare in ritiro, cioè il calcio vissuto in queste situazioni, nel senso di vivere quotidianamente lo spogliatoio. La mia fortuna era che a Castelnuovo, insieme a Russo, Deoma e Superbi avevamo creato un gruppo per certi versi simile a quello che avevamo alla Lucchese, fatto di amicizia, sincerità, stima e voglia di lavorare e vincere. Poi è andata com'è andata perché il calcio presenta anche questi risvolti negativi'.

Se Quironi non avesse fatto il portiere cosa avrebbe voluto fare nella vita?

'Io vengo da una famiglia molto umile, mio padre ha lavorato trentacinque anni in cava, quindi non volevo seguire le sue orme sicuramente, però non saprei dire cosa avrei voluto fare. Sono stato fortunato a intraprendere questa carriera già da bambino e il mio sogno era arrivare in serie A'.

Il sogno si è realizzato?

'Sì, quei cinque minuti giocato nell'Empoli contro il Milan nel maggio 1999 quando entrai al posto di Sereni, davanti a 80 mila spettatori a San Siro, un'emozione indescrivibile, bellissima, la più bella della mia vita a livello calcistico'.

Al. Gra.

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