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Cesare Prandelli, un allenatore che non ama prendersi troppo sul serio

15/04/2010 00:29

L'intervista che qui pubblichiamo, rilasciata allo stadio Franchi di Firenze dall'allenatore viola Cesare Prandelli, è apparsa sull'ultimo numero di Living, la rivista diretta daValter Farnesi e a firma di Aldo Grandi.

"Ci sono persone che si prendono troppo sul serio e altre che, al contrario, sul serio non si prendono mai. Ci sono, poi, quelli che, e Cesare Prandelli, professione allenatore, è tra questi, sul serio ci si prendono quel tanto che basta per capire che il calcio, in fondo, è pur sempre un gioco e che la vita, invece, è qualcosa di profondamente diverso. Nato a Orzinuovi, provincia di Brescia il 19 agosto 1957, segno zodiacale leone, un glorioso passato in maglia bianconera dove ha vinto tutto quello che c'era da vincere  e dove, ricorda, "C'era la voglia e la volontà di essere squadra anche fuori dal campo. Quando i giocatori, anche dopo l'allenamento, sentono la voglia di stare insieme, vuol dire che sul campo non sei mai solo", da cinque anni siede sulla panchina della Fiorentina con la quale ha ottenuto risultati lusinghieri e, compito ancora più difficile, è riuscito ad entrare nel cuore di una città dove il pallone è qualcosa di più di una semplice sfera da prendere a calci.

Che tipo è Cesare Prandelli?

"Mi reputo una persona normale che non si prende troppo su serio. Sono un professionista sì, ma che ha sempre cercato di far capire che dietro c'è un uomo che ama i rapporti sinceri. Io credo che uno si debba rendere conto che il calcio è solo una parentesi anche se ami il tuo lavoro che, però, dipende sempre dai risultati mentre tu, alla fine, sei quello che sei indipendentemente dal fatto se vinci o perdi".

Più facile da giocatore o da allenatore?

"Più da giocatore perché una volta che finisce la partita non ci pensi più e l responsabilità è minima. Un allenatore, se lo si fa come faccio io, è responsabile di tutto".

Firenze la Fiorentina, un amore che va avanti da tempo. Per quanto durerà ancora?

"Non lo so e non dipende solo da me. Sono anni che dicono che me ne andrò, prima o poi, magari ci azzeccheranno. Quando ho rinnovato il contratto rinunciando ad altre opportunità, l'ho fatto perché convinto che il progetto Fiorentina fosse n progetto vincente. Sono sotto contratto e io non ho firmato per poi scioglierlo. La volontà è importante, ma ci vorrebbe molta chiarezza da parte di tutti".

Cosa fa Prandelli nel tempo libero?

"Mi piace stare con i miei figli, Carolina, quando c'è e Niccolò che, però, vedo spesso perché è qui con me. Poi mi piace giocare a golf".

Come si vede nel futuro... remoto?

"Al parco con i nipotini a raccontare fiabe, anche perché sono molto bravo a farlo".

Cosa le dà più fastidio in un calciatore?

"Quando perde l'umiltà e non si mette in discussione. Quando le motivazioni non sono più sportive".

E in una persona?

"L'arroganza e lo 'sfruttare' il potere che può avere".

Cosa apprezza di più in un giornalista?

"L'onestà professionale. Anche chi va contro va bene, purché le critiche siano costruttive. Non mi danno fastidio le critiche, ma la cattiveria".

Dicono che lei sia un appassionato di arte.

"Vero. A 18 anni, a Torino, con i primi soldi che ho guadagnato ho comprato dei quadri. Ho sempre avuto la passione per il disegno. Avrei voluto fare il liceo artistico e, invece, ho fatto il geometra".

La sua famiglia?

"Mio padre gestiva un'attività commerciale di bibite mentre mia madre era casalinga".

Quando ha capito che il calcio sarebbe stato il suo lavoro?

"L'ho capito tardi. Nemmeno quando ero titolare in C. Poi è arrivata la serie B e, infine, la serie A dove ho esordito nel 1979 in un Catanzaro-Atalanta che finì con unpareggio. Io giocavo con i bergamaschi".

Lei a volte ha un'espressione un po' malinconica e disincantata. Diffidenza verso l'interlocutore di turno?

"No, è carattere. Del resto difficilmente riesci adessere te stesso in una intervista".

Ottimista o pessimista?

"Direi abbastanza ottimista e fiducioso, ma diffido molto degli altri perché questo, intendo il calcio, è un mondo in cui non riesci mai ad approfondire
l'argomento. So per esperienza che se anche c'è la voglia di far bene, spesso si colgono aspetti e spunti per fare notizia piuttosto che per cercare di capire".

C'è qualcosa che proprio non sopporta?

"La superficialità. Si può anche cazzeggiare, ma in un'intervista io credo di dover rendere conto a tutti coloro che leggono le mie parole e, quindi, sento la responsabilità di quello che dico. Noi siamo giudicati per quello che dici e per quello che fai".

E' stato a un passo dall'approdare alla Roma.

"Roma è una città affascinante da tanti punti di vista, ma quando ho iniziato quest'avventura, ho pensato solo alla Fiorentina. Poi, nella vita, mai dire mai".

Ha un sogno nel cassetto?

"Poter provare una volta a vincere qualcosa".

E nella vita di tutti i giorni?

"La serenità".

La famiglia per lei è importante.

"E' sempre stato così perché è uno dei pochi valori ancora veri e si parte sempre dall'idea che non finisce mai. Facendo questo lavoro sai che quando vai a casa è l'unica cosa vera, il resto è una parentesi".  

Più rimpianti o più rimorsi?

"Né l'uno né l'altro".

Dorme bene quindi?

"Faccio fatica ad addormentarmi, ma poi non ho problemi".

Da piccolo tifava per...?

"Il mio idolo era Rivera quindi Milan. Questo fino ai 15 anni, poi ho iniziato a giocare".

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