Galleria Rossonera
Oltre cento anni di ritratti e personaggi
Intervista esclusiva a Massimo Rastelli, ex rossonero e, ora, allenatore della Juve Stabia appena promossa in C1 e prossima avversaria della Lucchese in supercoppa: "Abbiamo disputato una stagione straordinaria, ma allo stadio non abbiamo mai avuto, in media, più di mille persone"
08/05/2010 10:36
Massimo Rastelli è uno di quei giocatori che ha il pregio di stare simpatico a tutti e di essere antipatico, ovviamente, a nessuno. Non è mai stato un rompicoglioni, ha sempre fatto il suo dovere allenandosi con scrupolo, mai un lamento, tanta corsa e tanto fiato, mai una vita spericolata né, tantomeno, da gaudente o play-boy dell'ultim'ora. Anzi, sempre vicino a una famiglia che lo ha amato e da cui è stata riamata, bravo a calarsi con adattabilità e tolleranza a tutte le realtà nelle quali ha scelto di giocare. Meridionale di Torre del Greco, mentre tutti gli altri fanno carte false per andarsene dal sud lui, al contario, ci è arrivato tardi e non se ne è più andato. A Lucca lo ricordano con simpatia e lui ricambia con affetto al punto che, se potesse, giocherebbe la gara di supercoppa con la Lucchese proprio al Porta Elisa, uno stadio dove ha trascorso momenti esaltanti.
Proprio Silvio Giusti, un suo ex compagno alla Lucchese dei miracoli targata anni Novanta, parlando di lei e della promozione della sua squadra, la Juve Stabia, ha detto che almeno uno del vecchio gruppo ha avuto successo.
"Ringrazio Silvio per queste parole, ma non è vero. Francesco Monaco, ad esempio, un paio di anni fa vinse il campionato di C1 ad Ancona. Possiamo dire che io sono stato il più recente a vincere qualcosa".
Ora tornerà ad affrontare la sua ex squadra per la supercoppa. Preferirebbe a Lucca o a Castellammare di Stabia?
"A Lucca, perché giocare in un grande stadio come il Porta Elisa è sempre, per me, un'emozione. La città mi è rimasta nel cuore e già con i rossoneri abbiamo disputato un'amichevole prima dell'inizio del campionato e già allora si vide che le due squadre avevano molte potenzialità".
C'è qualche giocatore della Lucchese che vorrebbe portare con sé?
"Non li conosco bene , anche se Scandurra, per me, è un ottimo giocatore. Quanto ai miei, quest'anno abbiamo battuto tutti i record a cominciare da quello dei gol segnati, addirittura 64 o giù di lì. Per non parlare delle vittorie".
Una città, quindi, infiammata dietro alle vostre imprese?
"Magari. Nonostante questa meravigliosa stagione in cui ragazzi che venivano dall'Eccellenza e dalla serie D hanno sfoderato prestazioni maisucole, abbiamo avuto allo stadio una media di 800, 900 spettatori a gara. Domenica scorsa, in occasione di una sfida importante, c'erano appena mille paganti e cinquecento abbonati. Dove si vuole andare in questo modo?".
E di chi è la colpa secondo lei?
"Non lo so io non lo sa il presidente che si è reso conto che non può andare avanti così. Servono aiuti concreti, gente o istituzioni disposti a contribuire a questa fantastica impresa".
Lo sa che lei è stato un uomo e un calciatore fortunato?
"In che senso?".
Per tre motivi: primo perché non ha mai subìto in carriera infortuni tali da pregiudicare l'attività; secondo perché ha una famiglia che l'ha sempre seguita e che rappresenta, per lei, la cosa più importante; infine perché ai suoi tempi il calcio riusciva ancora a regalare un po' di felicità economica mentre adesso le cose sono un po' cambiate. In peggio.
"Tutto vero. A parte l'infortunio ai legamenti del ginocchio l'anno scorso qui a Castellammare non ho avuto grandi problemi, mi sono sempre allenato con intensità e ho sempre fatto una vita da atleta. Io sono fatto così per cui non mi è nemmeno costato chissà quale sforzo. Quanto all'aspetto economico certamente i tempi sono cambiati e fare calcio a questi livelli diventa sempre più difficile e complicato. Poi, se si aggiunge il problema del pubblico ridotto ai minimi termini, si fa presto a trarre le inevitabili, pessimistiche conseguenze. Tuttavia resta sempre lo spettatore il motore trainante di questo sport".
Lei ha giocato nella Lucchese dei miracoli di Maestrelli e Grassi, è stato a lungo in serie A, è sceso al sud e ha giocato a Napoli, Sorrento, Castellammare di Stabia, ne ha viste di cotte e, presumibilmente, di crude. Ha, però, avuto le sue belle soddisfazioni. Allora ci spiega chi glielo ha fatto fare di rimettersi in discussione accettando di fare l'allenatore sulla panchina più calda della Penisola, almeno alla luce di quello che era accaduto lo scorso anno?
"Io ero venuto da Sorrento qui a a Castellammare di Stabia per vincere e, per di più, ero diventato anche il capitano della squadra. Poi mi sono fatto male al ginocchio e sono stato cinque mesi fermo. La squadra è retrocessa in C2 e io sono stato accusato dai tifosi e considerato tra i responsabili di questo fallimento. Era stata, effettivamente, una stagione disgraziata, c'era stata una fortissima contestazione, l'aggressione ad Alex Brunner che se ne era, poi, andato. Io, però, non potevo accettare di andarmene in quel modo, criticato dalla gente. Così ho accettato la proposta di fare l'allenatore e, visti i risultati, credo di avere fatto la scelta giusta".
Aldo Grandi