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Oltre cento anni di ritratti e personaggi

Mario Donatelli e le grandi emozioni in rossonero: "Che entusiasmo a quei tempi allo stadio...Orrico? Ci menava sul serio, ma ha anticipato di vent'anni il calcio di oggi. Alla Lucchese di ora vanno i complimenti e gli applausi"

19/05/2010 08:49

Dici Mario Donatelli e pensi alla più bella formazione rossonera degli ultimi 60 anni. Quella, per intenderci, di Corrado Orrico. Quella che ha sfiorato la serie A. Quella che i tifosi non smettono di ricordare nonostante gli anni passino. Donatelli, abruzzese di nascita, è lucchese di adozione: lavora a Genova, ma continua a vivere qui. A Lucca, ormai, ha messo le radici anche se con la società rossonera ha chiuso nel 2004 dopo averci giocato - dalla stagione 1895-86 a quella 1992-93 - e esserne stato anche direttore sportivo. Testa calda da giocatore - famosi i suoi scontri anche con mister Orrico -, Donatelli ha trovato nel Genoa la sua dimensione, ricoprendo parecchi incarichi per approdare ora al ruolo di direttore sportivo del settore giovanile. Il rossonero non lo ha mai dimenticato e non mancherà certo all'amichevole con cui la Lucchese festeggerà la promozione proprio contro i Grifoni.

Partiamo da lontano, da quell'estate del 1985 in cui approdò a Lucca.
"Giocavo nel Campobasso, la Lucchese stava provando a costruire una squadra importante grazie all'arrivo della nuova proprietà che era subentrata nel corso della stagione precedente. Iniziava l'epoca di Maestrelli e Grassi. Mi portò Gambetti, allora direttore sportivo".

Primo anno a Lucca, primo successo in campionato e serie C1 riconquistata.
"Partimmo male, la squadra era molto nuova, nel girone di andata eravamo nelle prime posizioni ma non riuscivamo a staccarci da terra. Nel ritorno, invece, andammo alla grande. La svolta fu con l'approdo di De Poli nella posizione di libero, dopo che questo ruolo lo avevano ricoperto Arrigoni e Vichi, e con l'arrivo di De Agostini, un mediano che fu davvero determinante".

A tre gare dalla fine lei realizzò un gol pesantissimo, contro il Montevarchi.
"Loro erano in lotta per non retrocedere e facemmo molta fatica a sbloccare il risultato. Poi ci pensò come al solito Tano Salvi che con una discesa delle sue mise un pallone al centro che io insaccai di testa. Mancavano quattro minuti alla fine. Fu un successo importantissimo, la domenica dopo ci fu la promozione matematica a Civitavecchia".

A distanza di tanti anni cosa ricorda di più di quei momenti?
"Il grande entusiasmo della gente, lo stadio sempre pieno: con Alessandria, Spezia e Sorso si toccarono diecimila presenze. Era una cosa pazzesca".

Poi, per lei, l'anno dopo arrivarono i primi guai fisici purtroppo.
"Mi ruppi il legamento del ginocchio sinistro a Ferrara e riuscii a rientrare solo verso la fine del campionato in una gara con il Rimini".

Le soddisfazioni, però, ripresero poco dopo: nel 1988 a Lucca arriva Corrado Orrico che nel giro di due stagioni riporta in serie B i rossoneri.
"Eravamo un rullo compressore: quelli che sono i ritmi di oggi noi li tenevamo già venti anni fa: pressing, agonismo, intensità, capacità di confinare gli avversari nella propria metà campo a ritmi vertiginosi. Vedere una delle nostre partite era davvero divertente, spesso passavamo in vantaggio nei primi minuti tanta era la foga che mettavamo. In tutto questo era utilissima la gabbia negli allenamenti settimanali.".

Vinceste il campionato e rischiaste seriamente di vincerne un altro, che vi avrebbe portato direttamente in serie A.
"E' un grande rimpianto. Credo che su quella stagione abbiano pesato i tre gravi infortuni a me, Monaco e Simonetta, quella squadra giocava a memoria".

Eravate un gruppo di grande personalità e non mancarono gli attriti soprattutto con Orrico.
"E' successo tante volte, ma i panni eravamo abituati a lavarli in famiglia. Orrico non si arrabbiava tanto per un passaggio sbagliato o per un rigore fallito, quanto per gli atteggiamenti. Quelli non li perdonava: quante ne abbiamo prese, anche fisicamente! A farne le spese io, Paci, e anche i poveri Vignini e Fiondella".

C'è chi sostiene che quella promozione mancata derivi anche dall'atteggiamento di Orrico che sul finale di stagione fu in procinto di passare all'Inter.
"Sono le solite voci, io quell'anno, come detto, mi feci nuovamente male, stavolta al ginocchio destro e quindi non rimasi a stretto contatto con lo spogliatoio rossonero. La mia opinione è che in circostanze simili si tenti di trovare un capro espiatorio. Sono convinto che sulla promozione abbiano pesato principalmente gli infortuni e che i miei compagni a fine stagione erano sulle gambe. Teniamo conto che le rose erano molto più ristrette di quelle di adesso".

Se le faccio il nome di Egiziano Maestrelli?
"Un padre, un amico, una persona a cui voglio bene".

Pino Vitale?
"Lo porto nel cuore e per me è stato un fratello maggiore: il tirocinio da direttore sportivo l'ho fatto con lui".

Corrado Orrico?
"E' una persona con mille sfaccettature, poliedrica. E' uno che comanda, un leader. Nello spogliatoio pendevamo dalle sue labbra e, va detto, di lui avevamo anche paura. Non ci dava tregua: allenamenti e richiesta di impegno in continuazione. Ha saputo anticipare il calcio moderno di almeno venti anni".

Dopo l'era Orrico è rimasto ancora per un po' alla Lucchese.
"L'anno dopo arrivo Lippi e disputammo un buon campionato, a fine stagione Vitale mi vendette in serie A all'Ancona, ma non andai perché seppi del ritorno di Orrico sulla panchina rossonera. Le cose andarono diversamente da come credevo: litigammo. Fu un buco nell'acqua e a quel punto andai a chiudere la carriera a Trieste".

Con Lucca la sua avventura non era chiusa: torno come direttore sportivo nel 1999.
"La Lucchese era appena retrocessa dalla serie B. La situazione era molto difficile ma facemmo bene e sono rimasto a Lucca per quattro anni".

Durante i quali c'è stato anche lo spareggio per la serie B contro la Triestina. Una delle pagine più amare per la Lucchese.
"E' stata la più grande amarezza calcistica. Una mazzata incredibile. Perdemmo a Trieste 2-0 e preparammo benissimo la gara di ritorno, preparammo la gara perfetta e fu una partita straordinaria. Alla fine dei 90' eravamo in vantaggio per 3-1 poi ci fu il rigore di Carruezzo al 5' del primo tempo supplementare. Me lo ricordo come ora: portiere da una parte, palla dall'altra che va a sbattere nel palo destro della porta sotto la curva Ovest. Fu il segnale che doveva andare diversamente. I giuliani accorciarono un minuto dopo su rigore e poi arrivarono persino al pari".

Come si spiega a distanza di anni quel crollo con la partita che era, dopo il rigore, ancora in mano ai rossoneri e con la Triestina che era in dieci uomini?
"Le energie nervose accumulate in settimana erano state spese benissimo e la gara di andata era stata ribaltata, ma quel rigore cambiò tutto. E' la riprova di quanto conti l'aspetto psicologico nel calcio".

L'anno dopo partiste per fare le cose ancora più in grande ma andò tutto storto.
"Ci fu l'esonero di D'Arrigo dopo poche giornate, i presidenti che erano due, Grassi e Gioia, non erano contenti. Il primo problema fu quello: in due non si comanda. Eppure eravamo partiti con grandi ambizioni, era arrivato De Florio che con Carruezzo faceva una coppia che tutti ci invidiavano. Partito D'Arrigo fu la volta di Iaconi, una persona straordinaria ma che non si era integrato nello spogliatoio. Non bastarono nemmeno gli innesti a invertire la rotta e rischiammo la retrocessione. Fu un tipico esempio di come una squadra forte sulla carta può non esserlo sul campo".

Qualche nome di giocatore acquistato per la Lucchese e di cui va fiero.
"Direi Diamoutene, che quando arrivò era quasi inguardabile ma poi con il lavoro è arrivato in serie A e Carruezzo che ha fatto la storia della Lucchese. Senza dimenticare gente come Marianini e Masiello che provenivano dal settore giovanile".

La Lucchese continua a seguirla?
"Sempre: abito anche a Lucca, figuriamoci. Ogni lunedì mi prendo i quotidiani e seguo le sue vicende. Questa società ha fatto un ottimo lavoro, ha fatto quello che bisogna fare in questi casi: tenere un profilo basso, lavorare in silenzio, dare fiducia a un gruppo ristretto e affiatato di persone. Complimenti e applausi a loro".

E a Genoa come va?
"Sono arrivato lì quando eravamo in serie C ma poco alla volta siamo tornati a respirare. Ora le cose vanno bene perché c'è un presidente che vuol vincere, è ambizioso e competente. E la serie A, non dimentichiamolo, è davvero un altro calcio".

Un calcio che, in generale, sembra sempre più in difficoltà.
"Lo è a grandi livelli, dove continua a respirare grazie ai diritti televisivi e al fatto che è uno spettacolo a cui la gente non rinuncia, figuriamoci ai livelli più bassi...La serie B, per non parlare della C, sono in forte difficoltà: non ci sono risorse e il livello tecnico si è impoverito. E' una spirale negativa in cui pesa anche il livello degli stadi. Forse provando a seguire il modello tedesco, con stadi confortevoli e possibilità di stare più tempo negli impianti anche a fare acquisti potrebbe esserci una ripresa".

Fabrizio Vincenti

 

 

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