Galleria Rossonera

Oltre cento anni di ritratti e personaggi

Giorgio Rumignani, una vita a insegnare calcio: "Mi chiamavano il Trapattoni della serie B, ma non era vero. La Lucchese? Ho ancora il magone a pensare come finì l'avventura"

19/08/2010 07:48

Andare a contattare un allenatore che è da tanti anni nel mondo del calcio quanti il cronista ne ha di vita, crea qualche difficoltà. Almeno a priori. Se poi quel tecnico ha vinto sette campionati, una coppa Italia di serie C, allenato una trentina e passa di squadre e lanciato giocatori del calibro di Abbiati, Legrottaglie e Oddo, tanto per fare tre nomi, le difficoltà sembrano destinate a crescere. Per non parlare del fatto che la persona in questione viene descritta con un caratterino non male. Niente di più sbagliato. Giorgio Rumignani, 72 primavere, ha ancora tanta voglia di parlare e bastano pochi istanti al telefono per capirlo. Il calcio - famiglia a parte - è la sua vita, la sua passione, i suoi ricordi, le sue gioie, i suoi dolori. E anche i suoi rimpianti. Come a Lucca dove riuscì, nell'ormai lontano 1985, a scatenare o riavviare passioni, anche di chi scrive, per la Lucchese. Era la prima Lucchese targata Maestrelli, in grado di portare 8-9000 persone allo stadio in una gara contro il Pontedera, pronte a esaltarsi per un gol in amichevole contro il Milan realizzato da Beppe Folli, speranzose di tornare a vedere la luce dopo gli anni bui seguiti alla breve ma intensissima stagione targata Romeo Anconetani.

Mister Rumignani,  partiamo da quel campionato 1984-85. Arrivò a Lucca in un ambiente che stava risorgendo grazie all'arrivo di Egiziano Maestrelli.

"Era un ambiente eccezionale, c'era un grandissimo entusiasmo. Provammo, su mia indicazione, a costruire una squadra molto giovane da associare a qualcuno più esperto: l'età media era intorno a 22 anni. Partimmo bene, le dico che in una gara contammo 58 passaggi senza far toccare palla agli avversari. Chieda a Francesco Monaco, che se lo ricorda di sicuro. Poi rallentammo un po' e infine mi trovai esonerato pur essendo primo in classifica dopo una gara persa per un rigore sbagliato".

Cosa era successo?

"Giocavamo bene, ma con tanti giovani ci voleva un ambiente in grado di ammortizzare le questioni che sono inevitabili quando hai per le mani dei ragazzi. Penso a quello che si vuole sposare, quello che mette incinta la ragazza, quello che vuol cambiare la macchina. E tutti a dire all'allenatore: "Mister mi faccia giocare perché mi servono i soldi per metter su famiglia o pagare l'auto". A quel tempo contava il gettone di presenza".

Mancò la società, insomma?

"Manco il direttore sportivo, che doveva svolgere alcuni compiti che non possono essere di pertinenza dell'allenatore. E non furono adeguati nemmeno i preparatori atletici. Non tutti i miei collaboratori naturalmente non furono all'altezza, dico per tutti Luporini, una persona eccezionale, che mi portai poi a Barletta".

I tifosi rossoneri, però, hanno un buon ricordo della sua presenza a Lucca.

"Sì, ho sempre ricevuto attestati di simpatia quando sono tornato da avversario. E a Lucca ho conservato amici. Credo che i tifosi si siano resi conto che con il mio modo di fare calcio, fatto anche del giusto spazio ai giovani, abbia precorso i tempi. Penso alle attuali misure per cercare di far giocare i più giovani nelle serie minori. A questo proposito credo sia inevitabile anche l'inserimento in quelle serie di formazioni B delle squadre maggiori per dare più spazio ai ragazzi dei vivai importanti. Tornando a Lucca, confesso che pensando a come è finita l'avventura, continua a venirmi il magone a distanza di tanti anni".

Un magone che ha creato, anni fa, una incomprensione con Corrado Orrico: vuole parlarcene?

"E' stato un equivoco. Tutto nacque da un'intervista rilasciata da me al Corriere dello Sport dopo che Orrico aveva vinto il campionato a Lucca. Al giornalista dissi che Orrico aveva colto una vittoria che, se fossero andate diversamente le cose anni prima, sarebbe potuta toccare a me, perché in quell'anno di rossonero avevamo iniziato a gettare le basi per un ciclo, un ciclo come poi è riuscito a portare a compimento il tecnico apuano. Nelle mie parole c'erano i complimenti impliciti per quanto aveva fatto Orrico, che però la prese male e partì una polemica che poi lo stesso Orrico, dopo un po', volle chiudere. E non voglio certo riaprire io. Tutto qui".

Lei passa per un uomo e un tecnico troppo diretto: ha pagato pedaggio per questo suo modo di essere.

"Ho pagato anche troppo, ero un allenatore che stava con la società, ma non filo-governativo a tutti i costi. E dicevo quello che pensavo. In molte situazioni non credo, come a Lucca del resto, di aver meritato certi trattamenti. Forse ho pagato la scarsa diplomazia e il non esser appartenuto a scuderie. Quando sono entrato nel giro dei selezionatori azzurri ho vinto anche una competizione ma mi dicevano che per mantenere gli equilibri dovevo convocare un giocatore per squadra. Me ne sono fregato e convocavo tre del Perugia: due si chiamavano Marchegiani e Ravanelli. Chiaro che con un modo di fare del genere anche se vinci, paghi dazio".

Vi lasciaste male con Maestrelli?

"Per niente, di lui ho un ricordo eccezionale. Semmai con Casanova (all'epoca ancora presidente ndr) ebbi qualcosa da ridire per come mi comunicò l'esonero. Ma come ho detto prima le responsabilità erano di altri. Quanto a Maestrelli le dico soltanto che ho continuato a andare nei suoi alberghi, giusto per dirle quanto la ritenga una persona perbene".

Tra le tante squadre che ha allenato c'è pure il Barletta, che domenica troverà proprio la Lucchese all'esordio in campionato.

"Faccio un augurio a tutte e due le squadre, soprattutto ai giovani che ci giocano. Quanto al Barletta le racconto solo un episodio. Eravamo in serie B, ultimi in classifica a 10 punti, e allora le gare valevano due punti, andammo a Bologna che aveva 29 punti e perdemmo uno a zero uscendo tra gli applausi. Mi presentai in sala stampa con la copia di un giornale, Stadio,  che aveva titolato il giorno prima: Bologna-Burletta. Dissi che ci saremmo salvati, tra i sogghigni dei giornalisti presenti. Facemmo 29 punti al ritorno e ci salvammo. E' un record che ancora dura".

Ha girato una quantità incredibile - oltre trenta - di squadre: una sua scelta o che altro?

"Mah, uno dei motivi era che arrivavo spesso a stagione iniziata e magari salvavo la squadra dalla retrocessione ma mi rendevo conto che non c'erano le condizioni per un nuovo campionato e preferivo cambiare aria, salvo magari tornarci dopo alcuni anni. Mi chiamavano il Trapattoni della serie B, ma salvare squadre in caduta libera non è facile e a ogni modo ho sempre ritenuto la definizione impropria: mi davano del difensivista anche quando le mie squadre segnavano parecchio. In ogni caso quello che si è fatto la gente non lo dimentica: ecco perché sono potuto tornare in parecchie piazze".

Quali sono rimaste impresse nella sua memoria?

"Come faccio a non ricordare le annata di Pescara, di Palermo, di Andria, di Barletta, ma anche di Lucca sia pure terminata come sappiamo?".

Torniamo per un attimo a Lucca: continua a seguire le vicende rossonere?

"Mai smesso. E continuo a avere un buon rapporto come detto con la città. Aggiungo che per me Lucca può fare la serie B alla grande. Sa quanti lucchesi ci sono in giro per il mondo? Da voi c'è il vizio di dare tutto per scontato, ma Lucca è una grande piazza".

Ha allenato grandi giocatori, chi ricorda su tutti?

"Parlerei di una formazione più che di un singolo: nel Monza feci una media punti di 1,66 e avevo una quantità di campioni impressionante, gente che è arrivata alla Nazionale. Le dico Abbiati e Oddo tanto per dire".

A proposito di Nazionale: che futuro vede per i colori azzurri dopo il naufragio agli ultimi mondiali?

"Io ho fatto, naturalmente, il tifo per l'Italia e il mio giudizio è forse influenzato dal fatto che con Lippi ho giocato insieme nel Savona: ero il suo capitano. Nel calcio ci sono i periodi di alti e bassi e non dimentichiamoci che ai mondiali ti giochi tutto in un mese. E' andata così. Ora Prandelli dovrà ricostruire tutto. A mio avviso in questa prima partita ha convocato giocatori più per ragioni di geopolitica e di pressioni mediatiche che per valore. Credo che mano a mano plasmerà la squadra e le darà una sua fisionomia ben precisa ispirata al modo che ha Prandelli di fare calcio".

Il calcio, in quarant'anni, è cambiato molto: in peggio o in meglio?

"Non bisogna essere troppo disfattisti. E' cambiato molto a partire dalla cultura calcistica che se non la si ha si rischia di fare la fine di Balotelli. Complessivamente, per me, il calcio è cambiato in meglio, anche se è mancato un disegno complessivo".

Lo scorso anno ha avuto un'esperienza breve al Treviso.

"L'ho fatto solo per amicizia verso quei dirigenti e senza compenso ma c'erano davvero troppe difficoltà e a un certo punto le strade si sono dovute dividere. Necessariamente".

Cosa c'è nel futuro di Giorgio Rumignani?

"Il ruolo del nonno: ho un nipote a cui mi sto dedicando con passione. Ho sempre cercato di fare del bene agli altri e spero di trasmettergli questa voglia".


Fabrizio Vincenti

Fanini Group

Galleria Rossonera

Oltre cento anni di ritratti e personaggi

Pier Paolo Pucci, trent'anni in rossonero e tanta nostalgia: "A Lucca tornerei a piedi, ma, per ora, non ho ricevuto nessuna chiamata"

Un personaggio che ha vissuto nell'ombra ma che è sempre stato legato ...

Galleria Rossonera

Oltre cento anni di ritratti e personaggi

Taddeucci a cuore aperto: "Non mi sento certo un traditore, perché ho da sempre i colori rossoneri nel cuore"

Marino Taddeucci è un po' scocciato dal mondo del calcio, la sua chiacchi ...

Galleria Rossonera

Oltre cento anni di ritratti e personaggi

Scandurra e la Lucchese, ovvero mai dire mai: "Nel futuro spero le strade si rincontrino, magari anche come allenatore delle giovanili

Gabriele Scandurra si racconta e ricorda l'esperienza di Lucca con grande emozio ...

auto bielle