Galleria Rossonera
Oltre cento anni di ritratti e personaggi
William Barducci, bomber sincero che fece innamorare i tifosi rossoneri
15/04/2011 11:04
Lui sa qual è il significato del lavoro. Perché per dieci anni della sua vita – tra i 40 e i 50 anni – ha lavorato in una fabbrica di vernici . Lo ha fatto per star vicino alla famiglia: alla moglie e ai tre figli che crescevano. Perchè allora, come in questi chiari di luna, il calcio non ti dava certezze. E piuttosto che accettare compromessi biechi e di basso profilo per fare l’allenatore o fare il tecnico di qualche settore giovanile magari a 300 chilometri da casa e a meno di mille euro al mese allora è meglio rimboccarsi le maniche e fare i turni di notte per guadagnare un po’ di più e non sprecare soldi in una vita da apolide. Un uomo saggio, vero, schietto e genuino che risponde al nome di William Barducci, classe 1956, 54 partite e 20 gol, nei due anni trascorsi in maglia rossonera. Un idolo della curva che a fine partita si fermava nei bar a parlare di calcio e a giocare a carte con i tifosi.
Chi nel calcio moderno sarebbe capace di instaurare un rapporto simile con i supporters negli anni Duemila? A Barducci veniva spontaneo: “Alla fine dell’allenamento, ma anche un’ora e mezzo prima della partita, per distrarmi giocavo a scopa, briscola o rubamazzo con gli storici tifosi che si radunavano al bar Morino vicino allo stadio. Nessuno di noi se la tirava. Oggi i giocatori girano con gli Ipod e parlano a stento con chi segue quotidianamente gli allenamenti”.
La sua carriera inizia a 18 anni in serie D nel Bellaria, la squadra dove muove i primi passi nel settore giovanile (Barducci è di San Mauro Pascoli, cuore della Romagna più autentica e genuina) e l’anno dopo conquista un record difficile da superare: segna 30 gol in altrettante partite. Un Angelillo dei poveri. A lui s’interessa subito la Fiorentina dove debutta in prima squadra segnando 2 gol in 6 partite (uno all’Inter) con il compianto Carosi in panchina. Doveva seguirlo all’Avellino, ma il servizio di leva lo ferma proprio nel momento di migliore. Va in prestito prima alla Rondinella di Renzo Melani e poi al Livorno di Tarcisio Burgnich – due allenatori che, nella loro carriera, guideranno anche la Lucchese – segnando e facendo segnare. “Ogni anno era la stessa storia. – racconta Barducci – Mi davano in prestito, tornavo a Firenze e a fine luglio ripartivo per altri lidi. In cuor mio speravo ancora di tornare ad indossare la maglia viola, ma nonostante i buoni campionati disputati non riuscivo a convincere appieno i vertici della Fiorentina. Alla fine mi diedero il benservito. Così di accasai a Montecatini in C2 dove segnai 16 reti e venni ingaggiato dallo Spezia del mio ex compagno di squadra Moreno Roggi. Anche lì la sfortuna si accanì con il sottoscritto: per un errore burocratico non potei scendere in campo sino a novembre anche se alla fine riuscì andare in doppia cifra. Ma quello Spezia che militava in C2 aveva problemi economici e l’anno dopo, a luglio, m’informarono che mi avevano ceduto al Sud: destinazione Turris di Torre del Greco”.
La sua carriera poteva finire lì perche Barducci a 27 anni non ne voleva sapere di finire lontano da casa. “Dissi chiaro e tondo ai dirigenti che alla Turris non ci sarei mai andato e, piuttosto, avrei attaccato le scarpette al chiodo. Così rimasi fermo tutta l’estate e sino ai primi di ottobre. Pensavo ormai di aver chiuso con il calcio quando all’improvviso arrivò la chiamata che mi cambiò la vita: la Lucchese. Non finirò mai di ringraziare Fabio Bonelli, attuale segretario della Fiorentina e all’epoca fresco segretario della Lucchese. Era stato con me a Montecatini e mi stimava come calciatore e come uomo. La Lucchese navigava in acque agitate. Società zero e attacco spuntato. Seppe che ero fermo, ne parlò con l’allore ds Magrini che mi telefonò per sondare la mia disponibilità. Non me lo feci dire due volte. Feci armi e bagagli e mi fiondai a Lucca. Sapevo che di soldi ce n’erano pochini, ma volevo tornare a fare il calciatore. Sono arrivato a novembre del 1982 e me ne sono andato a fine 1984. Due stagioni e mezzo fantastiche sul piano umano e professionale”.
Anni difficili con una società praticamente inesistente, pagamenti a singhiozzo e valzer di allenatori. “Il primo anno segnai 9 reti (capocannoniere della squadra), l’anno seguente 11 e soprattutto credo di aver contribuito a svezzare il calciatore simbolo della Lucchese: Roberto Paci”. Nella stagione 1983-84 il tandem d’attacco era composto da Paci e Barducci: 18 gol in due e un campionato strepitoso nonostante le difficoltà finanziarie e una squadra imbottita di giovani: “Fu un vero capolavoro e il merito in gran parte fu di Paolo Baldi, un tecnico gentile, preparato e che avrebbe meritato una carriera diversa. Arrivammo quarti con una formazione piena di diciottenni. Ricordo Petroni, Gargani, Andreucci, Marlazzi, Vallini, Bernardini. Con Ramagini, Paesano, Mastrangioli, Bencini e Soldati ero la chiocchia di quella squadra che partì in ritardo, ma che rimase in corsa per la promozione sino alla fine del girone d’andata. In quella stagione conobbi Paci. Arrivava dal Parma e aveva 19 anni. Si vedeva che aveva grandi mezzi fisici, ma era ancora grezzo. Voleva andare in porta con il pallone ed era poco altruista. Credo di avergli insegnato in allenamento ad essere più altruista a cercare più spesso l’uno-due a seguire i movimenti dei compagni”.
Tanti gli aneddoti di quegli anni spensierati. “Dormivamo nella sede di viale Castracani. Cadeva a pezzi. Ricordo che ogni tanto, di notte, si staccava un pezzo d’intonaco e Burroni, il burlone della comitiva, ci diceva che prima o poi saremmo diventati famosi per essere i primi calciatori sepolti vivi”. E poi i pranzi da Melecchi, le partite a carte con i tifosi, gli sfottò con l’inseparabile centrocampista Soldati, corregionale dalla battuta pronta. “Ho indossato spesso la fascia di capitano e ne ero orgoglioso. Peccato che l’avventura sia finita nel momento migliore: l’anno dell’ingresso in società della Superal di Maestrelli”. Barducci – bomber rossonero anche nella seconda stagione di permanenza – viene confermato a furor di popolo. Amato dai compagni (è il sindacalista della squadra) e idolo della curva. La nuova società ingaggia come ds Gambetti e come tecnico Rumignani. E tutto cambia. “Sin dalla preparazione intuì che il tecnico mal gradiva la presenza mia e di Soldati, i leader dello spogliatoio. Prima partita tutto bene, la seconda mi toglie senza un perché. Chiedo spiegazioni in società e mi dicono che mi vuole il Fano (girone B della C2). Resto di sale, ma quando mi ritrovo in panchina e chiedo spiegazioni senza ottenere risposta dal tecnico capisco che per me non c’è più posto. Faccio fagotto e me ne vado a Fano dove vinco il campionato di C2 con Jaconi (altro futuro tecnico della Lucchese) in panchina. La soddisfazione più bella? Le telefonate ricevute dai tifosi della Lucchese che mi hanno fatto i complimenti ricordandomi con affetto”.
Dopo Fano due anni a Pontedera (con un certo Marcello Lippi in panchina) e poi tre stagioni in Interregionale a Faenza dove inizia a fare l’allenatore. “In D ho vinto un campionato anche con il Gualdo e sono andato in C2. Sono stato esonerato ingiustamente e da quel momento per una decina d’anni ho smesso con il calcio andando a fare l’operaio. Sei anni fa l’amico Corrado Benedetti (ex calciatore di A con Bologna e Cesena) mi ha coinvolto di nuovo e sono diventato il sue secondo a Grosseto e a Pistoia. Adesso lui è fermo: non accetta le ingerenze di presidenti che pretendono di fare la formazione e se oggi non sei prono a chi dirige la società non ti chiamano più. Oggi non serve far bene, si devono avere appoggi e conoscenze giuste altrimenti resti disoccupato”.
TL