Galleria Rossonera

Oltre cento anni di ritratti e personaggi

Reggiannini, a distanza di tanti anni, ha ancora un rimpianto: "Quel rigore contro la Triestina ai play off ha cambiato il destino della Lucchese e di tanti di noi"

24/10/2011 16:11

Il calcio è la sua vita, o meglio gran parte di essa. Armando Reggiannini (nella foto con Diego Checchi e Alvaro Vannucchi) si è concesso alla Gazzetta Lucchese con grande entusiasmo e con lui abbiamo affrontato argomenti che devono far riflettere, soprattutto i giovani e quelli che vogliono diventare dei calciatori. Non ha peli sulla lingua, dice quello che pensa e puntualizza certe sfaccettature che accadono nel mondo del calcio, un mondo che non è sempre l'esempio da seguire per tutti. Reggiannini, un personaggio che a Lucca è molto conosciuto per aver svolto il ruolo di vice di D'Arrigo nell'anno 2001/2002 (quello della finale persa ai play off con la Triestina), è stato anche osservatore con Viscidi e Nicoletti. Adesso è Osservatore per le Nazionali Italiane Giovanili nella regione Toscana ed è stato proprio Viscidi a volerlo inserire in questo staff, considerando che l'ex tecnico rossonero è il vice coordinatore delle Nazionali Giovanili e collabora a stretto contatto con Arrigo Sacchi.

Parliamo del suo impegno con le Nazionali Giovanili. Come imposta il suo lavoro?
"Sono orgoglioso di far parte dell'ambiente azzurro perchè questo ruolo è il coronamento di tutti i sacrifici che ho fatto nel corso degli anni. È stato proprio Maurizio Viscidi a segnalarmi quando Sacchi fu nominato coordinatore delle Nazionali Giovanili e lo stesso Viscidi vice coordinatore. In quel momento c'era bisogno di una rete di osservatori fidata e fui scelto per ricoprire il ruolo per la Toscana".

Quanto la impegna questo lavoro?
"Non è come fare l'allenatore o il collaboratore di campo. Sono impegnato il giusto e in particolar modo il sabato, la domenica e qualche mercoledì quando ci sono le partite di Coppa Italia delle Primavere o alcuni raduni delle Nazionali. Per esempio, poco tempo fa, sono stato a Bassano per tre giorni a vedere un torneo dell'under 18".

Qual è stato il suo rimpianto più grosso nel mondo del calcio?
"Ne ho uno in particolare, ovvero quello di non essere riuscito ad andare in Serie B con la Lucchese nelle finali play off contro la Triestina. La squadra alabardata è stata in cadetteria per dieci anni e per tutti noi sarebbero potute cambiare molte cose a livello di carriera. D'Arrigo avrebbe potuto fare qualcosa di più e anche molti giocatori di quella Lucchese. Ma il calcio è anche questo".

Ecco, allora una domanda ci sorge spontanea: qual è il suo rapporto con Lucca e con la Lucchese?
"Devo dire la verità: ho sempre sognato di poter lavorare in due "piazze" toscane importanti come Lucca e Pistoia e ci sono riuscito. Sono molto legato alla vostra città, anche affettivamente, ed è proprio lì che ho avuto la fortuna di conoscere Maurizio Viscidi".

Parliamo del presente. Che cosa ne pensa del progetto voluto da Bruno Russo e da altre persone affezionate al calcio rossonero?
"Bruno è stato molto bravo perchè si è calato in una situazione difficilissima e se non fosse stato per la sua testardaggine non so se quest'anno si sarebbe giocato il calcio al Porta Elisa. Russo ha cambiato ruolo dato che il suo obiettivo era e resta quello di fare l'allenatore, ma per l'amore della Lucchese si è messo sotto e ha lavorato molto bene e con umiltà".

Si aspettava che la squadra rossonera fosse così in alto in classifica?
"A dire la verità, no. Sono venuto a Lucca nel primo giorno di raduno di questa nuova società e in quei momenti c'erano poche certezze. La prima era Giacomo Lazzini, una persona molto pacata che ho avuto modo di conoscere in un periodo nel quale era fermo e tutti e due facevamo gli osservatori per il Torino. Lazzini non ha giocato ad altissimi livelli e nemmeno allenato grandi squadre, ma questa categoria la conosce molto bene. L'altra certezza che riscontrai fu la buona volontà di Bruno Russo, anche se sapevo che Bruno non conosceva bene il mondo dei Dilettanti. Invece sta andando tutto oltre le più rosee aspettative. Vorrei farvi riflettere su un altro aspetto: vincere il campionato di Eccellenza non dovrebbe rappresentare un problema, ma fra l'Eccellenza e la Serie D, se si vuole costruire una squadra vincente, il dislivello è piuttosto netto e questo è bene che tutti lo sappiano. Invece tra Serie D e Seconda Divisione non esiste tanta differenza".

Parliamo della sua carriera da giocatore e da allenatore. Quando ha iniziato con il calcio?
"Quando avevo quindici anni nel Quarrata perchè andavo dietro a mio fratello. Da lì mi prese la Juventus e ho fatto due anni nel settore giovanile, giocando anche nel torneo di Viareggio. Poi ho iniziato la trafila in tutta Italia, fra Pontedera, Lecce, Frosinone, Trapani, etc, etc. Ho chiuso la carriera nel Montevarchi dove mi ruppi il ginocchio e a quell'epoca non era semplice recuperare".

Ma qual era il suo ruolo?
"Ho iniziato da centrocampista e poi mi sono trasformato in difensore. Ero il classico giocatore al quale i tecnici non avrebbero mai potuto rinunciare perchè mi impegnavo dal primo minuto fino al novantesimo. Anche se avevo delle carenze sulla velocità".

Per quale motivo ha iniziato a fare l'allenatore?
"Questo era il mio mondo. Durante la mia carriera da calciatore ho continuato a studiare e mi sono Diplomato all'ISEF perchè era la materia che mi piaceva di più. Tanto è vero che sono stato anche Professore di Educazione Fisica. Mi hanno chiamato a fare l'allenatore anche perchè sapevano dell'impegno che ci avrei messo durante il mio lavoro. Le soddisfazioni più grosse le ho avute da collaboratore tecnico anche se da solo sono arrivato fino alla C2 con il Pontedera".

Quanto le manca la panchina?
"Affatto".

Il suo rapporto con D'Arrigo?
"Ho conosciuto Francesco quando ero alla Cuoiopelli dove feci il direttore sportivo per due anni. Con lui ho mantenuto sempre un ottimo rapporto e quando c'è stata la possibilità di fare delle collaborazioni insieme, non ci abbiamo mai pensato due volte".

Per quale motivo il calcio in Toscana è così in declino?
"Facevo un ragionamento poco tempo fa e sono arrivato alla conclusione che tutte le squadre più importanti della Toscana sono nei Dilettanti. È una catastrofe perchè una volta la nostra regione era la patria del calcio. Credo non ci siano più persone disposte ad investire nella maniera giusta e poi le cose vanno come vanno".

È d'accordo sulla regola che vige in Eccellenza, quella che in campo si devono far scendere tre giovani?
"Certo che sì. Solo in questo modo i giovani si possono confrontare con il calcio dei grandi. In Italia bisogna cambiare la cultura, a livello di Nazionali lo stiamo già facendo, cercando di inculcare agli allenatori delle Primavere e Allievi il dovere di far crescere il ragazzo. Andando a vedere le partite delle Primavere mi sono accorto che ci sono troppi stranieri in campo e questo è un errore che tutte le società commettono. Bisogna credere di più nei nostri vivai e lavorare con maggior scrupolosità sulla crescita dei ragazzi".

Per quale motivo all'estero vengono fatti esordire giovani senza nessuna remora?
"Perchè il nostro calcio è legato troppo al risultato e gli addetti ai lavori pensano che con l'esperienza si possano raggiungere i risultati. È anche vero che un allenatore che fa giocare una squadra giovane, molto difficilmente arriva in fondo al campionato. Quindi viene esonerato e sostituito. Per questo i tecnici privilegiano l'esperienza".

Per quale motivo il calcio italiano non è più all'avanguardia con quello estero?
"Bisogna tornare al pari degli altri con il passare del tempo. C'è un dislivello fisico molto notevole, questo mi sembra chiaro. Quest'anno la federazione è riuscita ad organizzare campionati di categoria Allievi Nazionali tra squadre di Serie A e B ed altri tra Prima Divisione e Seconda, in modo che i risultati non finiscano in maniera roboante a favore delle squadre più forti e ci sia più equilibrio in campo".

Come si può coniugare il calcio e la scuola?
"Intanto voglio sgombrare il campo dal fatto che le due cose non possano andare di pari passo. I ragazzi devono fare come ho fatto io. C'è tempo per tutto, per andare a scuola, per giocare a calcio e per divertirsi, magari lasciando perdere le cose inutili. Adesso, con i computer e tutte le tecnologie, si può studiare anche sul pullman. Quando facevo il Professore, a volte mi sono trovato a colloquio con alcuni genitori che mi spiegavano che il figlio, che andava male a scuola, avrebbe smesso di andare a giocare a calcio o a basket. Questa è la cosa più sbagliata perchè fare uno sport a livello agonistico insegna al ragazzo a organizzarsi e a scegliere quali sono le priorità della vita e a non perdere i giusti valori e soprattutto a non prendere strade sbagliate".

Un augurio per il calcio e per la Lucchese.
"Per quanto riguarda il calcio mi auguro che non ci siano più quelle trasmissioni televisive troppo faziose e vorrei ricordare che la critica deve essere sempre costruttiva. Perchè attenzione: i ragazzi sono sempre pronti a prendere esempio da gesti sbagliati. Per quanto riguarda l'FC Lucca, l'augurio è più che mai ovvio ed è quello di continuare su questa strada, sperando che possa tornare nel calcio che conta nel più breve tempo possibile".

 

Diego Checchi

Fanini Group

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