Galleria Rossonera

Oltre cento anni di ritratti e personaggi

La Lucchese che fu, quella che è sempre nel cuore di tutti noi, nei ricordi di Paolo Alessandroni, il preparatore atletico ai tempi della serie B

11/05/2012 16:59

Un pezzo di storia, un uomo che ha sempre amato stare dietro le quinte ma che è stato, per la Lucchese, un grande lavoratore, uno che ha sacrificato tanti giorni per i colori rossoneri. Stiamo parlando di Paolo Alessandroni, l'ex preparatore atletico della Serie B e delle più importanti vittorie della Lucchese Libertas. Lo abbiamo intervistato volentieri per capire quello che pensa del calcio di oggi e parr farci raccontare degli aneddoti del passato, un passato che è era costituito da grande lavoro sul campo, quello che adesso, secondo lui, in generale, non esiste più. Alessandroni è uno che, quando parla, non ha peli sulla lingua e dice quello che pensa, raccontando le verità importanti di quegli anni... "Sono arrivato alla Lucchese nel 1976, a chiamarmi furono il compianto Alessandro Bianchi e l'allora segretario del settore giovanile rossonero Alessandro Nardinelli. Mi ricordo che il settore giovanile si allenava e giocava al campo sportivo Colombo dove attualmente sono situati i campi sportivi del Poggio a Sant'Anna. Alessandro Bianchi si doveva occupare della preparazione atletica del settore giovanile, ma era anche allenatore in seconda della prima squadra e quindi non riusciva bene a coniugare le due cose e allora mi chiamò. Andavo al Colombo tre volte a settimana e devo dire che gli impianti non erano certamente all'avanguardia, ma c'era già una piccola palestra dove si poteva lavorare. Ho continuato nel settore giovanile fino al 79-80 e in quegli anni, abbiamo fatto un ottimo lavoro, tant'è vero che sono usciti fuori molti giocatori importanti, tra i quali Francesco D'Arrigo e Paolo Benedetti, quest'ultimo ha fatto una carriera a livelli di Serie A con la maglia del Napoli. Era un mediano di Pisa dalle qualità molto importanti".

Poi cosa è successo?
"Ve lo racconto molto volentieri: la Lucchese, nel 79-80, era in un periodo di crisi e volevano tagliare i costi ed io, di mia spontanea volontà, mi feci da parte perché, oltre alla Lucchese, seguivo anche l'Atletica Virtus e all'epoca, avevo atleti molto importanti da allenare tutti i giorni".

Ma il suo fu solo un arrivederci...
"Certamente, perché nella stagione 82-83 sono ritornato, quando c'era Gambetti come ds. Fu una storia un po' particolare, in panchina c'era Giorgio Rumignani e lui non credeva affatto alla figura del preparatore atletico. Mi ricordo che, in quella stagione, quella squadra fece un amichevole con il Milan e la vinse. Nei primi mesi quella compagine volava perché si era lavorato per l'immediato ma al Professor Gambetti non piaceva come Rumignani impostava la preparazione atletica dei suoi ragazzi ed allora, tramite il Professor Bianche, mi chiese se sarei andato a controllare come andavano le cose. Intanto, la squadra non faceva risultati e a Natale, fu imposta a Rumignani la mia figura e mi ricordo che, durante la sosta, andammo a fare, con tutta la squadra, un ritiro a Viareggio per circa dieci giorni e lavorammo piuttosto bene ma Rumignani mi vedeva come se fossi il diavolo e lui l'acqua santa. La frattura fra il tecnico e la società diventò poi insanabile ed allora venne esonerato. La squadra venne affidata al suo secondo Orlandi e al sottoscritto, che faceva il preparatore atletico e il secondo allenatore. L'anno dopo cambiò la presidenza rossonera ed arrivò Egiziano Maestrelli con Pino Vitale ds Renzo Melani come allenatore. Costruimmo la squadra per l'anno successivo che poi vinse il campionato, c'erano Fusini, Folli, Biferari, Baldi etc, etc. Vi racconto un aneddoto della stagione 84-85: il 21 dicembre 84, quando nacque il mio secondo figlio Alberto, ero in macchina con il presidente Maestrelli e stavamo andando ad Alessandria, mi ricordo che quel giorno nevicava".

Che tipo di rapporto ha avuto con Vitale e Maestrelli?
"Un rapporto di reciproca stima, il presidente si vedeva meno allo stadio, ma è stato, secondo me, l'ultimo presidente innamorato dei colori rossoneri. Con Pino è nata una profonda amiciza perché lui era tutti i giorni sul campo e ha potuto apprezzare il mio lavoro. Pino Vitale aveva carta bianca e poteva decidere su tutto".

E il rapporto con Renzo Melani?
"Lui era una ‘volpe', un opportunista, uno che aveva già vinto due campionati di Serie C e sapeva bene quello che faceva. Io però, ho sempre cercato di portare avanti le mie idee e solo con un tecnico non sono riuscito a farlo: con Bolchi. Lui, a livello atletico aveva un lavoro prestabilito che voleva portare avanti e allora mi sono dovuto adeguare".

Parliamo del suo rapporto con Orrico...
"Io, nei primi tre anni che ho lavorato con l'Omone di Volpara, ho imparato tanto. Voi non ci crederete ma facevamo 10 o 11 allenamenti alla settimana, cosa che, nel calcio di adesso, non esiste. Io sono convinto che, per far crescere un atleta, lo si debba allenare con grande continuita. Prendete tutti gli altri sport professionistici e vedete qual è il carico di lavoro a cui si sottopongono gli atleti... Nel calcio di oggi si lavora poco e in questo è spiegato il motivo per cui ci sono tanti infortuni muscolari. Poi, voglio sottolineare un'altra cosa, vi siete mai chiesti come mai un calciatore italiano, a livello fisico, è molto meno strutturato rispetto ai calciatori di altri paesi? Perché si allena poco, in Italia solo giocatori con grandi doti naturali possono emergere. Tornando a Orrico, vi spiego come funzionava la sua settimana tipo: lui pensava che i giocatori dovessero avere solo 24 ore di libertà alla settimana ed ecco che allora, dopo la partita della domenica, il lunedì, a metà mattina ci si ritrovava al campo. Chi aveva giocato faceva un lavoro defaticante mentre gli altri lavoravano come se fosse stata la partita del giorno precedente. Poi, i giocatori erano liberi fino a martedì pomeriggio quando c'era l'allenamento. Il mercoledì e il giovedì c'era una doppia seduta e a volte, anche il venerdì. Allenamento sabato e domenica mattina, prima della partita, si andava nel campo vicino al nostro ritiro presso l'Hotel Ristorante La Gina a fare delle partitelle molto tirate. Era possibile anche che qualcuno si facesse male, ma a Corrado questo non importava più di tanto, perché secondo la sua filosofia, solo che ‘sopravviveva' poteva giocare. Per quanto mi riguarda, sono d'accordo con questi carichi di lavoro, anche perché così i giocatori non avevano troppa libertà per distrarsi".

Che tipo di lavoro facevate, a livello atletico?
"Facevamo almeno due sedute di ‘forza' in palestra e poi lavoravamo molto sulla prevenzione degli infortuni facendo stretching e scaricando le gambe dopo ogni allenamento. Il nostro lavoro era piuttosto duro, ma nessuno si rifiutava di farlo, nella nostra squadra non sarebbe mai accaduto quello che è accaduto a Firenze tra Ljajic e Delio Rossi perché, per le scelte dell'allenatore e tutti i suoi collaboratori, c'era molto rispetto e anche la società appoggiava in tutto e per tutto lo staff tecnico".

Qual è stata la sua più grande soddisfazione nel mondo rossonero?
"La Coppa Italia vinta alla Favorita di Palermo e poi la vittoria del campionato di C1 e la promozione in B: cose che non scorderò mai. Poi, ci sono state molte partite che ho vissuto con particolare pathos e tante salvezze arrivate con tanta fatica e altrettanta soddisfazione".

Perché è andato via dalla Lucchese?
"Sono andato via alla fine della stagione 99-00. Quando tornò, Orrico non era lo stesso che avevo conosciuto, lui voleva fare grandi carichi di lavoro su una squadra di pesi leggeri e a un certo punto, mi disse che ero rammollito ed ero passato dalla parte dei giocatori. Non era assolutamente così, ma lui, alla fine di quella stagione, decise di cambiare. Mario Donatelli, alla prima esperienza da direttore sportivo accettò la decisione anche se con molto dispiacere. Mi sembra poi, che l'anno dopo Orrico non fece molto bene e venne esonerato. Per quanto mi riguarda poi, andai a Viareggio e in seguito ad Arezzo con Discepoli, Pisa e infine alla Fiorentina con Sergio Buso e poi Dino Zoff. Anche in quell'anno fui molto felice perché un personaggio come Dino Zoff riusci ad uscire a testa alta e salvarsi in una piazza come Firenze".

Per quale motivo, poi, non ha più accettato offerte?
"Perché nel mondo del calcio non si può più lavorare come vorrei io, me ne accorsi già a Firenze, dove un preparatore atletico non può più incidere come vorrebbe ma solo mantenere un briciolo di condizione fisica. Le ripeto, a me piace costruire gli atleti e vederne i progressi anno dopo anno. Questo, nel calcio non si può più fare. Vi dico la verità, nel corso della mia avventura calcistica, ho avuto opportunità di andare anche fuori ma ho sempre priviliegiato la mia famiglia e il mio lavoro a scuola, anche a scapito della carriera".

Com'è cambiato il lavoro atletico nelle squadre di calcio?
"C'è più tencologia e i test sono più sofisticati, ma sono tutte ‘cavolate'. Vorrei sottolineare anche un altro aspetto, un preparatore atletico, non deve basarsi solo sulla partita per tirare conclusioni, a volte la pratita può dare false impressioni, perchè magari un attaccante segna ma se poi non si muove, che significato ha il gol? Bisogna valutare la squadra durante tutta la settimana, soprattutto al martedì quando si fanno i test di resistenza".

Lei crede nel lavoro specifico a livello atletico?
"Sì, soprattutto in palestra, perché non tutti i giocatori hanno bisogno e devono fare lo stesso lavoro di forza, ma sul campo è difficile seguirli uno per uno. Io ho sempre cercato di dividerli in gruppi omogenei a seconda delle loro caratteristiche fisiche".

Cosa pensa dell'Fc Lucca e dell'avventura intrapresa da Bruno Russo?
"Bruno è una persona seria e corretta, ci sentiamo e ci vediamo qualche volta in città. Sono contento che la nuova squadra rossonera abbia vinto il campionato di Eccellenza e spero che, con il lavoro e il sacrificio, possano arrivare più in alto perché queste non sono le categorie che gli competono. So anche che fare calcio a Lucca è difficile, perché non c'è nessuno che sia veramente interessato a questo sport".

Diego Checchi

Fanini Group

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