Galleria Rossonera
Oltre cento anni di ritratti e personaggi
Roberto Paci, una bandiera che non sarà mai ammainata
31/07/2008 13:30
Roberto Paci è una bandiera che non verrà mai ammainata dal tifo
rossonero. E' un pezzo della storia della Lucchese, e neanche dei meno
importanti. Ora, con il calcio, ha rotto totalmente, ma la sua storia e
le sue parole sono ancora belle da udire e da leggere.
Quando arrivò a Lucca Roberto Paci?
"Arrivai a Lucca, in prestito dal Parma, nella stagione 1983-84. Avevo
giocato l'anno prima con l'Alessandria e avevo segnato otto gol. Trovai
Magrini direttore sportivo, allenatore Paolo Baldi e presidente
Casanova. Tra i compagni Dal Molin in porta, Ramagini terzino destro,
Arrigoni libero, stooper Marlazzi, Garfagnini e Gargani della Berretti
della Lucchese, poi Ettore Donati, quindi Paesano, Mastrangioli,
Barducci attaccante".
Un'ottima memoria.
"Sono stati tempi indimenticabili. Era calcio vero a quel tempo. Era
calcio fatto con la passione, non per i soldi. Guadagnavamo anche noi,
ma il gruppo valeva più di qualsiasi altra cosa, anche da parte dei
firigenti. Ricordo Fabio Bonelli segretario, un personaggio
straordinario".
Il suo primo ricordo di Lucca.
"La bellissima accoglienza da parte della famiglia Clocchiatti
dell'albergo Melecchi all'Arancio, dove noi della Lucchese andavamo
spesso a mangiare. Per di più, all'esordio, nel 1983, a ottobre, feci
subito gol alla Massese in C2 e vincemmo per 3 a 1 a Massa. Un esordio
con gol era il massimo per un giovane come me. Fu un'annata
particolare, con vicissitudini societarie e alla fine tornai a Parma
che mi girò all'Asti in C1 l'anno seguente".
Quando tornò a Lucca?
"Rientrai nel 1988-89 con Corrado Orrico allenatore. Lì furono messe le
basi per un progetto che ci portò, poi, a fare nove anni di serie B.
C'era, inna nzittuo una società. Io ero andato via nel 1984, quando fu
data in gestione al Comune. Tornai e trovai il gruppo Maestrelli che
diede subito l'impronta di una società organizzata. Trovai Pino Vitale,
Orrico, Egiziano Maestrelli, ancora Fabio Bonelli, e tanti compagni che
sono rimasti in maglia rossonera per dieci anni".
Una grande famiglia?
"La bravura di Orrico, Vitale e Maestrelli fu di organizzare una grande
famiglia molto disposta al sacrificio. Cosa vuol dire? Vuol dire che
Orrico ci ha spremuti, specialmente i primi anni, sia in senso fisico
sia in senso atletico. L'Orrico dei primi tempi era un tecnico molto
carico e famoso per i suoi allenamenti duri, però noi, pur soffrendo,
non ci siamo mai tirati indietro. La gabbia, fra tutti, era
l'allenamento più leggero. Io non mi dimenticherò le corse sui campi in
ritiro, spesso a Fosdinovo, le salite da Alcide. La collina di Alcide
era per noi famosissima perché spesso, dalla stanchezza e dallo
sfinimento, si arrivava anche al vomito. Nel vino di Alcide c'è
sicuramente qualcosa di... nostro. Sudore sicuramente tanto".
Si sono cementate in quegli anni amicizie che sono ancora vive.
"Abbiamo passato anni indimenticabili di sofferenze e di gioie. C'è
mancata solo la serie A, sarebbe stata la ciliegina sulla torta che non
siamo riusciti a ottenere. Adesso, con tutto il casino nel mondo del
calcio, ho capito perché non siamo mai riusciti ad andare in serie A.
In maglia rossonera credo di aver segnato circa 140 reti. Io ho chiuso
con il mondo del calcio per sfinimento, perché non ce la facevo proprio
più mentalmente, un rigetto totale che tutt'ora è in atto. Questo
perché ho dato tantissimo, tutto me stesso, ho visto che non mi sono
piaciute, situazioni poco belle, tra cui anche una causa con
Maestrelli. Lui mi aveva diffamato in pubblico dicendo cose non vere.
Alla fine la causa è stata archiviata e a me è rimasta solo tanta
amarezza. Ora come ora dico di aver avuto ragione, perché il mondo del
calcio non è per il mio tipo di persona. Non è che il commercio sia
meglio, ma io mi ci trovo meglio".
La Lucchese è scomparsa dal calcio che conta. E' rimasto solo il nome.
"Io sono venuto a Lucca poco prima dell'inizio della stagione estiva.
La prima persona, sbarcato dalla nave, che ho incontrato è stato Silvio
Giusti che stava andando a Genova per vedere di presentare delle
garanzie in merito alla società. Mi disse chiaro e tondo: "Robè non ce
la facciamo". Ho capito quanto ci stesse mettendo dentro di suo per
sacrificio e dedizione, una persona straordinaria che ricordo con tanto
affetto. Qualcuno, nei giorni seguenti, mi ha chiamato dopo la
scomparsa della società e io spiegai che il Comune avrebbe potuto
prendere in carico la Lucchese, facendo un bel settore giovanile,
coinvolgendo le forze pubbliche e provando a dare a un progetto più
ampio anche partendo da zero, una iniziativa appetibile, con il Comune
che potrebbe poi selezionare un potenziale compratore".
Il ricordo più bello dei tuoi anni in rossonero?
"La vittoria della Coppa Italia di serie C a Palermo, una gara giocata
davanti a 40 mila spettatori perché c'era l'inaugurazione della
favorita per i mondiali. E il ritorno a Lucca dove ci accolsero come se
avessimo vinto la Coppa dei Campioni. Poi una fiumana di gente davanti
allo stadio. Emozioni fortissime e indimenticabili. Poi, una cosa che
ho con me nel ristorante, la statua che mi hanno fatto i tifosi. Erano
i club della Piana e la statuta fu fatta nell'aprile 1998. I miei figli
sono nati a Lucca e io sono sempre legato a questa città, anche nel mio
ristorante Mama Latina, a Cala di Volpe vicino Porto Cervo, vengono
moltissimi tifosi lucchesi e gente normale che ritrova con piacere
un'atmosfera amichevole".
Il ricordo più brutto di Paci in rossonero?
"La retrocessione dalla serie B alla serie C. Una retrocessione, a mio
parere e non ho paura di dirlo, voluta dalla dirigenza che, per
ripicca, ha abbandonato l'anno dopo a seguito delle contestazioni dei
tifosi. Posso garantire che ci potevamo salvare tranquillamente, invece
hanno fatto in modo che retrocedessimo. Quell'estate io avrei potuto
andare in serie A e avevo già la possibilità di andare alla Reggina.
C'era già l'accordo e i tifosi di Reggio Calabria mi aspettavano.
L'ultimo giorno di mercato non venni ceduto perché i dirigenti non
vollero darmi via. Dal giorno seguente dissi chiaro e tondo che su di
me, a parte allenamenti e partite, non avrebbero più potuto contare
perché io non mi riconoscevo più in quella dirigenza e in quella
Lucchese. Questi gli episodi più brutti della mia carriera calcistica".
Aldo Grandi