Galleria Rossonera

Oltre cento anni di ritratti e personaggi

Persico, la saracinesca rossonera degli anni sessanta. Storia di una vita all'insegna del pallone

07/10/2007 11:07

Girando per l'Italia, tra alberghi e ristoranti, può anche capitare di incontrare personaggi che, nei tempi più o meno remoti, hanno indossato la maglia della Lucchese. E' il caso di Pietro Persico, classe 1930, attualmente proprietario dell'hotel Persico sul lungomare Riviera delle Palme a San Benedetto del Tronto. Persico, ex portiere di Atalanta, Sanbenedettese, Spal, Cagliari, Ascoli, Lucchese e Reggina, una vita spesa tra i campi di serie A, B e C, arrivò a Lucca a novembre del 1961 proveniente dal Del Duca Ascoli, come si chiamava, allora, la società marchigiana. Giocò in rossonero due stagioni, in serie B, avendo, come compagni di squadra, gente del calibro di Fiaschi, Pedretti, Conti, Clerici, Sebastiani e l'allenatore Zavatti.

Persico, lei ha giocato ai massimi vertici ed è stato anche convocato in nazionale. Qual è, secondo lei, la differenza tra il calcio dei suoi tempi e quello di oggi?

‘Il nostro era molto diverso perché prima lo schieramento veniva chiamato metodo, si giocava sull'uomo fissi, mentre ora c'è una esasperazione tattica. Il portiere ad esempio. Prima dovevi stare in porta mentre adesso si cercano portieri alti che debbano uscire che sappiano fare anche con i piedi. Una tecnica più completa. Ai nostri tempi esisteva la società e non c'erano i procuratori. Io venivo ingaggiato dalla società che mi stipendiava e che mi aveva acquistato dalla società cui appartenevo. Gli stipendi, per quei tempi, erano abbastanza alti. A inizi anni Sessanta io guadagnavo circa duecentomila lire. Per il resto la vita dei calciatori era più riservata. Al campo, ad esempio, se venivano erano donne sposate, le nostre mogli in sostanza. Ci trovavamo al bar Rosina, proprio dietro lo stadio. Avevamo la mensa privata dove andavamo a mangiare. Gli allenamenti li facevamo allo stadio, e qualche volta Zavatta ci portava a fare le partitelle nei paesini vicini. C'era il campo Balilla, sotto le mura, dove facevamo atletica o qualche partitella. Era un bel terreno'.

Com'è stato il periodo lucchese?

‘Io avevo già un'esperienza calcistica per cui dove andavo sono sempre stato bene. Io frequentavo poco i bar, ero sposato e avevo un figlio. La sera tornavo a casa e stavo insieme a Fiaschi, che è di San Miniato. Dove c'era la mensa avevamo, infatti, anche le camere'.

Qual è la più bella gara che si ricorda?

‘Ricordo la partita con il Napoli, allo stadio del Vomero. Perdemmo tre a uno, ma io parai l'impossibile. E difatti il Napoli voleva acquistarmi. Altre gare i derby, con il Pisa e con il Prato. A Lucca era tutto bello, una città splendida, ricordo l'impressione che mi fece la festa della Luminara con la città al buio. Io, piuttosto che rinchiudermi in camera, essendo anche cattolico, amavo visitare le chiese della città. Il pubblico lucchese mi ha sempre voluto bene. Anche quando facevo delle papere mi ha sempre incitato. Un pubblico intelligente, competente. Non dimentichiamo che aveva avuto anche un passato di serie A. A proposito di Lucca, ricordo che andavo spesso a mangiare in una rosticceria, da Sergio in via Santa Croce'.

La vita del calciatore era una vita da privilegiato.

‘Io ci tenevo, anche perché non avendo un titolo di studio o un mestiere, dovevo pensare a formarmi un avvenire'.

Il più grande calciatore contro cui ha giocato contro?

‘Il trio Gre-No-Li. Rammento una partita conclusasi zero a zero, quando giocavo in serie A con la Spal. Cesare Maldini venne a congratularsi. Il Milan aveva anche Schiaffino. Poi la Juventus di Boniperti, Charles e Sivori. Alla Spal mi portò il presidente Paolo Mazza. Era un bonaccione, un uomo che sembrava cattivo, ma non lo era. A vederlo metteva soggezione, ma era buonissimo. Mi si era affezionato e mi chiamava il ‘mio putin', il mio piccolo. Fu quello il periodo che andai in nazionale. Eravamo in tre, i migliori, Ghezzi, Buffon e il sottoscritto. Poi Mazza mi ha venduto al Cagliari per cinquantacinque milioni di lire'.

A che età ha smesso di giocare?

‘C'era il povero Tommaso Maestrelli che, alla Reggina, mi volle con sé per fare il secondo. Lui poi passò al Foggia mentre io rimasi sotto le dipendenze di Segato con Oreste Granillo presidente. L'anno successivo arrivò Bizzotto come allenatore dalla Juventus, poi, però, fu esonerato e io presi in mano la prima squadra in B con preparatore atletico Franco Scoglio. Ci salvammo, perché giocavamo sempre su campo neutro avendo il campo squalificato. Era il 1970 quando scoppiò la rivolta di Reggio Calabria. Per andare allo stadio dovevamo passare via mare, sentivamo gli spari. Oppure avevamo orari fissi perfino per andare a prendere un caffè. Con il Catanzaro giocammo a Firenze, perché altrimenti sarebbe stata una strage'.

Che ricordo ha di Tommaso Maestrelli?

‘Aveva due gemelli piccolini che portava in ritiro. Era un uomo eccezionale, molto sensibile, sempre pronto al dialogo, senza alterigia, era un padre di famiglia che otteneva molto dai giocatori'.


Lei ha allenato uno dei portieri più bravi che l'Italia abbia mai avuto: Walter Zenga. Cosa ricorda?

‘All'epoca la Sambenedettese era allenata da Nedo Sonetti. L'Inter gli mandò un ragazzino di nome Zenga. Sonetti aveva giocato con me a Reggio Calabria e quando seppe che io ero qui, ma che avevo deciso di farla finita con il calcio, tanto insistette, anche con mia moglie, che alla fine mi convinse a rientrare nel giro. Così divenni l'allenatore dei portieri e, con me, c'erano Zenga, Coccia, Deograzias. Walter mi chiamava papà e veniva a mangiare da me qui in albergo. Era fidanzato qui a Sanbenedetto con miss Marche, una bella ragazza che, poi, ha sposato. Si vedeva che era un ottimo portiere. Umanamente era un tipo sbarazzino, giovane, aveva venti, ventun anni, generoso, un po' guascone. Sono sempre rimasto in contatto con lui, Anche quando arrivò in nazionale la prima maglia la diede a me. Dopo Zenga da qui sono passati atleti come Ferron, Braglia, Bonaiuti, Martina. Gli ultimi portieri validi alla Sambenedettese che ho avuto sono stati Visi e Chimenti. Poi andai a Bologna con Maifredi. Tre anni nella città felsinea dopodiché mi chiese Gaucci e per otto anni, gli ultimi della mia carriera di allenatore dei portieri, sono rimasto a Perugia'.

Se potesse portare qualcosa del suo calcio in quello di oggi, cosa porterebbe?

‘La sincerità, la sereità e la tranquillità. Noi non avevamo capricci, bisognava essere atleti e basta. Non ha significato per me darsi le arie solo perché si è calciatori'.

Al. Gra.

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