Galleria Rossonera

Oltre cento anni di ritratti e personaggi

Placido Mecchi, un fotografo con il cuore rossonero: la memoria storica di una città

24/09/2008 09:37

Chi non conosce, a Lucca, Placido Mecchi? Chi non ricorda il suo storico negozio in via San Paolino? Placido è diventato, per tutti, il simbolo della signorilità, il fotografo sempre elegante, prestante, con il sorriso sulle labbra, qualche volta imbronciato, magari anche un po' introverso, ma umano, una persona che dalla vita ha avuto forse troppo poco rispetto a quello che avrebbe meritato. Ha avuto, però, una grande passione, per l'arte intesa come manifestazione di una macchina fotografica che aveva, cinquant'anni fa, molto più senso e più valore delle fotocamere digitali di oggi. Allora un fotografo era, necessariamente, anche un artista, oggi, purtroppo, è un professionista dell'immagine. Le scuole, spesso, vanno in cerca della storia orale e bene farebbero a invitare un uomo che, a ottant'anni, ha ancora l'ingenuità e la semplicità di un ragazzino. Placido è, che se ne dica o che se ne pensi, uno straordinario esempio di longevità fisica e professionale. 

Sei il più vecchio" fotografo in attività a Lucca. Il 23 agosto hai compiuto 80 anni. Una vera e propria memoria storica e fotografica della città.

"Ho cominciato a fare il fotografo nel 1943, all'età di 15 anni. Vedendo un bigliettino in una vetrina di un fotografo, Ghilardi in via Nuova, lessi che cercavano un ragazzino di bottega. Lì cominciò l'avventura perché entrai e il lavoro mi piacque subito. Io, inoltre, ero senza madre e senza padre perché quest'ultimo era a lavorare in Germania. Vivevo con una mia cugina e dopo un po' lei dovette recarsi a trovare un parente e non potendo lasciarmi solo, mi portò con sé, ma Ghilardi mi licenziò. Quando tornai, sempre durante la guerra, la passione per la fotografia mi era rimasta intatta e cercai di trovare un altro fotografo. C'era, a quell'epoca, uno studio fotografico, una sorta di elite perché serviva le famiglie più in vista di Lucca, era Ettore Cortopassi. Aveva l'attività dove c'è il ristorante L'Olivo. Alla fine, dopo mille ripensamenti e in calzoncini corti, decisi di suonare il campanello. Una signora che seppi poi essere la donna di casa, mi aprì e mi guardò scrutandomi da testa a piedi. "Aspetta che chiamo il signor Ettore" disse. Arrivò quest'uomo elegantissimo, capelli bianchissimi e profumato. Mi guardò anche lui e mi domandò: "Fammi vedere le mani". Di sopra e di sotto. Pensai che volesse vedere se ero pulito. E invece, tutto secco, aveva una voce baritonile, mi fece: "Dì la verità. Ti sudano le mani?". Io risposi di no e allora disse: "Entra pure". Da lì cominciai a lavorare con Cortopassi".

A quando il tuo primo appuntamento con la Lucchese?

"Nel 1948-49. Io ero sempre in campo e da allora, fino ad oggi, ho seguito quasi mille partite, tutte quelle in casa e anche qualcuna in trasferta, soprattutto ai tempi di Orrico e della vittoria nel campionato di serie C. Io avevo visto anche la vittoria a Livorno contro la Sarzanese allenata da Orrico, quando si vinse il campionato di serie D e si salì in serie C. A quei tempi il presidente era Quilici. Quando eravamo in serie A, lo stadio era sistematicamente pieno. la gente andava a sedersi perfino sul tetto della tribuna coperta. Era sempre tutto esaurito. Mi viene in mente una sfida con la Juventus di Boniperti, Viola, i fratelli Hansen. Si perdeva due a zero, si riuscì a rimontare e a raggiungere il pareggio".

Cosa ha significato, per te, negli anni, la passione per la Lucchese?

"Per me è stata la cosa più bella che ho avuto in vita mia. Io ho sempre lavorato sin da adolescente e facendo il fotografo, si viveva molto all'oscuro, nei camerini, al buio, con le sole luci gialle per evitare che si bruciassero le pellicole. Quindi quando potevo scattare le foto in un campo aperto, all'aria, ero la persona più felice di questo mondo. La domenica, o in casa o fuori, ero sempre in partenza. Lasciavo i bambini a mia moglie e correvo a vedere la Lucchese. Per me era un bel sogno, anche perché sul quotidiano La Nazione si facevano delle pagine ricche di foto, anche due o tre pagine e io avevo l'abitudine di stare dietro la porta e riuscivo quasi sempre a immortalare i gol. Allora le immagini venivano spesso pubblicate e per me era una grossa soddisfazione. All'epoca lavoravo anche per il Mattino e pubblicavo delle fotografie di calcio e di tutto. Ricordo Paolo Galli, un amico oltre che un giornalista, bravissimo, con cui si facevano dei bellissimi servizi".

A ottanta anni e dopo oltre sessanta primavere passate dietro alla Lucchese, sei stato costretto ad assistere alla fine di un sogno durato 103 anni. Che cosa hai provato?

"Io ero convinto che prima di interrompere la mia carriera, la Lucchese sarebbe ritornata almeno una volta in serie A. Quello che ho provato alla fine di questa storia, l'ho capito solamente domenica al Porta Elisa contro l'Arrone. La prima domenica con il Cecina c'era abbastanza gente, poi, dopo la sconfitta di Sesto Fiorentino, domenica c'era pochissima gente e quando sono entrato in campo mi sono venute le lacrime agli occhi ripensando ai tutto esaurito della mia giovinezza. Mi sono sentito perduto. Non lo dico per apparire tragico, ma io sono sempre stato legato alla Lucchese e quando le cose vanno male non riesco a trattenermi".

Perché secondo te Livorno, Pisa, Siena, Empoli, Grosseto, Pistoiese, Arezzo, salvo la Massese, vanno tutte meglio di noi e, soprattutto, hanno avuto la possibilità di assaggiare ripetutamente la serie B e, qualcuna, anche la serie A?

"Qualche volta me lo sono domandato. Si aveva l'occasione con Orrico, poi, però, accadde qualcosa di brutto. Ricordo una volta, a Trieste, in uno spareggio per restare in serie A. C'erano Scarpato, Catelli, Franz. Si era vinto due a zero in casa e poi perdemmo a Trieste per 3 a 0. Da allora la Lucchese non è più riuscita a salire. Forse la colpa è anche del carattere dei lucchesi, che fino a quando le cose vanno bene seguono la squadra, poi, quando va male, non si vedono più. Vengono sempre i soliti malati di passione".

Cosa pensi del presidente Fouzi Hadj?

"A me ha sempre dato l'impressione di essere un avventuriero, un uomo che aveva affari in ogni parte del mondo, e da una persona così puoi aspettarti tutto il meglio, ma anche qualche sorpresa".

Quale sogno pensi di poter ancora coltivare per i colori rossoneri?

"Che trovino la pazienza perché la serie D è un inferno e ci vuole pazienza. Io ho sempre detto che la serie D ha bisogno di gente con fiato e che corre più due o tre giocatori esperti, ma per prenderli servono i soldi. il portiere, innanzitutto, deve essere di esprienza, invece Costa e Lenzi sono troppo giovani per questa responsabilità. Quando noi si vinse il campionato in serie D e si salì in C, era la fine degli anni Sessanta, noi avevamo la fortuna di avere un certo Morè e un certo Cella che insieme facevano una ventina di gol a fine campionato e, inoltre avevamo una difesa molto forte, mentre ora non abbiamo niente, né un portiere né un attaccante d'area di rigore forte".

Aldo Grandi

Fanini Group

Galleria Rossonera

Oltre cento anni di ritratti e personaggi

Pier Paolo Pucci, trent'anni in rossonero e tanta nostalgia: "A Lucca tornerei a piedi, ma, per ora, non ho ricevuto nessuna chiamata"

Un personaggio che ha vissuto nell'ombra ma che è sempre stato legato ...

Galleria Rossonera

Oltre cento anni di ritratti e personaggi

Taddeucci a cuore aperto: "Non mi sento certo un traditore, perché ho da sempre i colori rossoneri nel cuore"

Marino Taddeucci è un po' scocciato dal mondo del calcio, la sua chiacchi ...

Galleria Rossonera

Oltre cento anni di ritratti e personaggi

Scandurra e la Lucchese, ovvero mai dire mai: "Nel futuro spero le strade si rincontrino, magari anche come allenatore delle giovanili

Gabriele Scandurra si racconta e ricorda l'esperienza di Lucca con grande emozio ...

auto bielle