Galleria Rossonera
Oltre cento anni di ritratti e personaggi
Daniele Deoma, una bandiera rossonera che non verrà mai ammainata
27/11/2008 09:08
Daniele Deoma è una bella persona. E non soltanto perché sprizza
simpatia da tutti i pori, perché non ha la catttiveria di chi, pur
sembrando buono, nasconde una invidia e una falsità congenite, ma
perché ha fatto dell'onestà e della serietà professionale una vera e
propria bandiera. Chi scrive ricorda benissimo quella domenica di
settembre, con un caldo fottuto, a Gela, dove la Lucchese affrontò i
siciliani all'interno di uno stadio che appariva più come una gabbia di
polli che un impianto di calcio. Così va la vita, e al sud, per chi ha
girato un po' gli stadi, accade anche di peggio. Ebbene, quel giorno,
allenatore della Lucchese Libertas 1905, sulla panchina c'era mister
Indiani, uno che era piovuto a Lucca dopo aver liquidato il Perugia con
un messaggio SMS. Fouzi Hadj e Franco Scoglio avevano scelto lui per
sostituire Walter Nicoletti, a loro avviso troppo inesperto per guidare
una squadra che aveva ambizioni di salire subito di categoria. Tutti
sanno, poi, come è andata a finire.
Quel giorno, in panchina siedeva Daniele Deoma, che a Gela aveva
trascorso alcune bellissime stagioni. Il pubblico non lo aveva
dimenticato e gli tributò un'accoglienza straordinaria, con un lungo,
affettuoso applauso. A cinque minuti dalla fine, con la Lucchese che
stava pareggiando, Deoma avrebbe dato un braccio per poter scendere
nuovamente su quel terreno di gioco e salutare i suoi ex tifosi.
Indiani avrebbe potuto farlo tranquillamente giocare, un gesto di
affetto e di stima verso un calciatore che tanto aveva dato ai colori
rossoneri. E invece niente, nonostante l'evidente utilità e generosità
del gesto, il tecnico fece restare Deoma in panchina. All'aeroporto i
musi erano lunghi e, anche, piuttosto incazzati. Di tempo, ormai, ne è
passato parecchio, così come di acqua sotto i ponti. La Lucchese
Libertas 1905 è fallita e Daniele Deoma è sempre qui, nella città che
ha scelto per vivere con la sua famiglia.
Ti ricordi quella domenica d'estate, a Gela, dove tu avevi giocato
per tre anni, quando mister Indiani non ti fece nemmeno assaporare la
gioia di salutare i tuoi ex sostenitori?
"Certo che me la ricordo. Era la seconda giornata di campionato e la
prima del Gela in casa. Fu una delle più belle giornate, e colorite,
della carriera. Tornavo dopo tanti anni in Sicilia e, nell'intervallo,
lo speaker fece il mio nome e io, che non ero rientrato negli
spogliatoi. Quando sentii il mio nome dall'altoparlante, uscì dalla
panchina e non mi resi conto, all'inizio, di cosa stava accadendo. Poi,
vidi che tutto il pubblico, almeno duemila persone, si alzarono in
piedi a osannare il mio nome e a incitarmi con dei cori. Allora mi resi
conto che, forse, quello che avevo fatto non solo come giocatore, ma
anche come professionalità e umanità, era servito a qualcosa".
Avresti voluto scendere in campo almeno per pochi minuti?
"Sicuramente, mi avrebbe fatto enormemente piacere salutare i miei
tifosi. Però ci sono delle scelte tecniche che io ho sempre rispettato.
Quella domenica fu una giornata straordinaria per l'accoglienza
ricevuta, un po' meno dal punto di vista tecnico. Io non gli avevo
chiesto niente proprio perché io, nella mia carriera, ho sempre evitato
di fare polemica con gli allenatori. All'aeroporto, tuttavia, ero molto
amareggiato perché pensavo a quello che era successo pochi minuti prima
e pensai che, allora, non c'era stata la consapevolezza dell'importanza
che per me, soprattutto a livello umano, avrebbe avuto lo scendere in
campo anche per pochi secondi".
Torniamo alla realtà. La Lucchese Libertas 1905 non esiste più. Né
nel calcio che conta, né, ora, come società Che cosa ti ha provocato
tutto questo a livello emotivo?
"Con la Lucchese c'è stato sempre un legame fortissimo. Tant'è vero che
io, gli anni da calciatore in cui sono rimasto più legato a una
società, sono stati quelli alla società rossonera al punto che ho
scelto la città per vivere anche a fine carriera e trasferirvi tutta la
famiglia. Questo terremoto ha provocato in me molta delusione, perché è
fallita una squadra che negli anni ti ha permesso di fare cassa, di
avere una identità importante, di fare soldi. E' la società che ti ha,
praticamente, 'consacrato' e il dispiacere è stato enorme".
Di chi la colpa secondo te?
"La colpa, secondo me, è stata di coloro che hanno gestito la
Lucchese negli ultimi anni. Per me il presidente Fouzi Hadj è l'ultima
persona al quale attribuisco le responsabilità di questo fallimento. Se
dovessimo fare nomi e cognomi di questi tre anni di gestione, non
basterebbe un quaderno per elencarli tutti. Vorrei sottolineare una
cosa importante che qualcuno, forse, ha dimenticato: la gestione fatta
da Silvio Giusti, l'unica fatta con serietà, professionalità e con
amore, anzi, con troppo amore. Perché ha fatto quello che io non avrei
fatto, quello che, secondo me, dal punto di vista societario, dovevano
fare altri".
Puoi fare dei nomi?
"I nomi, praticamente, di coloro che hanno gestito dal punto di
vista tecnico, le scelte fatte nella seconda occasione, con
l'esclusione di gente come Oliveira, Cucciari e lo stesso Deoma, li
sanno tutti. E questo è stato l'anno del crac. Perché l'anno del vero
crac non è stato quello successivo, con Giusti direttore sportivo, ma
quello precedente, quando a gestire la società è stato Gigi Simoni.
Secondo me ci fu un errore in buona fede da parte del presidente Hadj.
Dare, cioè, in mano, a livello manageriale, tutti i compiti a Simoni
che, dal lato della sua grande esperienza calcistica, non aveva, però,
mai gestito una società di calcio dal punto di vista manageriale".
Ti riferisci a giocatori acquistati e pagati uno sproposito?
"Sì".
Non vuoi entrare nei particolari?
"E' meglio di no per rispetto di tanti altri professionisti".
Deoma, Carruezzo, Bellucci. Un trinomio indissolubile. Cosa significa?
"Significa che, a prescindere dal lato professionale, c'era e c'è
ancora oggi, a livello umano, una stima reciproca considerevole. La
nostra amicizia è nato nel giorno in cui si è visto l'attaccamento a
quella maglia da parte di tutti e tre. Si faceva tutto in funzione del
bene della Lucchese. A volte, pure, mettendo da parte gli interessi
personali. E per interessi personali intendo decine e decine di
migliaia di euro regalati, cioè 'contratti spalmati'".
Con quale gestione e in quale occasione avvenne questo?
"Nell'ultimo anno dell'era Grassi, quando mi trovavo a Palermo per
prendere la nave e tornare in Toscana. Mi chiamò l'allora direttore
sportivo Antonio Magli dicendomi che bisognava spalmare il contratto
perché c'erano grossi problemi per quello che concerneva l'iscrizione
al campionato. Arrivato alle 23 a Lucca, dopo venti minuti, il tempo di
scaricare i bagagli, ero in sede a risolvere il contratto precedente e
spalmarlo in due anni. Spalmare cioè in due anni quello che percepivo
in un anno. In altre parole rinunciai al 50 per cento dello stipendio.
Ricordo un particolare importante: Mentre salivo le scale in via
Orzali, incontrai Carruezzo che scendeva. Mi aveva anticipato come al
solito. Aveva fatto, anche lui, quello che avevo deciso di fare io".
Cos'è per Daniele Deoma l'amicizia?
"L'amicizia è il valore di quello che io ho percepito negli anni di
essere sempre me stesso, ma, soprattutto, l'amicizia non nel momento
del bisogno, ma in ogni periodo della vita".
Daniele Deoma cosa fa adesso?
"Sta collaborando con una società di serie A, la Reggina. In
sostanza il mio ex procuratore, Andrea Bagnoli, è diventato il nuovo
responsabile della Reggina per quanto riguarda il calcio sudamericano.
E io sto collaborando con lui, vedi Carmona, un giocatore proveniente
dalla nazionale Under 21 cilena e già richiesto da società importanti
anche all'estero".
Qual è stato il momento più bello della tua carriera in rossonero?
"E' una domanda che mi spiazza, però, ricordo l'anno della salvezza
centrata con Nicoletti, la gara di San Giovanni Valdarno. Un'annata
trascorsa tra mille difficoltà, con cambi di allenatore in serie. Era
una squadra composta da grandi uomini, al punto che girammo all'andata
con 12,13 punti e ci salvammo con una giornata di anticipo".
E il momento più brutto?
"E' stato la mancata promozione in serie B dopo la gara casalinga
con la Triestina. Fu una delusione che ancora oggi, vedendo la
Triestina in B e la Lucchese sparire, mi fa male. Di quella giornata
ricordo un certo Bau, giocatore della Triestina. Nel sottopassaggio,
prima della partita, gli dissi di giocare solo a metà campo perché era
meglio per lui. Questo per far capire l'aria che si respirava quel
giorno al Porta Elisa. C'era una tensione fortissima".
E il rigore sbagliato da Carruezzo?
"Forse è stato il volere della sorte, perché il penalty calciato da
Carruezzo era perfetto con Pagotto letteralmente spiazzato e palla che
prese il palo interno e attraversò tutta la porta senza entrare".