Galleria Rossonera
Oltre cento anni di ritratti e personaggi
Toni Carruezzo: "Venivamo dalla sconfitta di Trieste per 2 a 0, D'Arrigo ci convocò e ci disse, tutti riuniti, che per vincere avremmo dovuto giocare la partita perfetta. Cominciò così la gara più bella, più emozionante e più amara della mia carriera..."
28/04/2009 15:26
Toni Carruezzo e quel maledetto spareggio. Torniamoci un attimo, per seguire, come se fosse allora e come se fosse in diretta, il racconto del bomber rossonero. Mai, se non a pochi intimi, Carruezzo aveva descritto quei momenti di tensione e, allo stesso tempo, di esaltazione emotiva.
"Venivamo dal 2 a 0 di Trieste - rievoca Eupremio Carruezzo - D'Arrigo ci chiama a raccolta il giorno dopo la sconfitta e, senza usare mezzi termini, ci dice che per vincere dobbiamo giocare la partita perfetta, senza commettere errori. Al sabato Daniele Deoma mi rapa a zero e con me rapa anche Baraldi e Matteazzi. Io protesto, gli dico che dovrebbe aspettare l'esito della gara, lui, però non sente ragioni. Quella domenica lo stadio era pieno, pieno come non lo avevo mai visto prima e come non lo avrei rivisto dopo. Era una giornata di sole meravigliosa. Andiamo in vantaggio con Marianini, quindi ancora Marianini e, dopo il loro gol, segnamo anche il 3 a 1 con il sottoscritto che infila di testa uno splendido cross di Binho Cribari. La partita finisce così e, allora, andiamo ai supplementari".
"Dopo appena cinque minuti del secondo tempo supplementare D'Aniello, entrato da poco, viene steso in area - prosegue l'ex capitano rossonero - L'arbitro fischia il rigore. Mancavano sette, otto minuti. Molto concentrato andai sul dischetto. Presi la palla e la misi sul cerchio bianco. Ero sicuro di fare gol, avevo dentro di me una sicurezza e una concentrazione perfette. Cosa è successo e perché sbagliai il rigore della vita? Me lo sono domandato più volte e, alla fine, mi sono dato una risposta. Ero concentratissimo, non sentivo niente, nemmeno il pubblico. Eravamo io, la palla e il portiere. Improvvisamente entrò in area un giocatore della Triestina e si mise vicino alla palla dicendo qualcosa all'arbitro. Questi, per redarguirlo, passò davanti al pallone e andò a parlare con il giocatore dicendo che lo avrebbe cacciato. In quell'istante tutte quelle cose mi fecero pensare, mancavano pochi minuti alla fine, iniziai a dirmi che se avessi fatto gol la partita sarebbe finita lì, che era meglio se lo avessi angolato di più, che dovevo fare in modo di poter segnare anche qualora avesse sfiorato la palla cpon le mani. Cominciai, in sostanza, a pensare troppo. Lo volevo angolare perfettamente, al millimetro, così da renderlo imparabile per Pagotto. Tirai, ma la palla battè contro il palo interno e tornò verso di me. Sul momento rimasi di stucco, ma pensai che mancavano pochissimi minuti e che se avessimo tenuto, con il 3 a 1 avremmo vinto lo stesso. Invece, in quei pochi minuti successe di tutto. Loro ripresero coraggio, noi avemmo la mazzata. Nell'azione successiva Baraldi scivolò su una palla alta e commise fallo: venne espulso e restammo in dieci. Poi segnarono il 3 a 2. La partità finì in quell'istante. Io, nervosissimo, diedi una manata al difensore che mi controllava e venni cacciato a mia volta. Mi chiusi nello stanzino, da solo, accanto allo spogliatoio. Ci rimasi per ore. Ero amareggiato, triste. Tornai a casa con il morale sotto i tacchi. A casa, a Pontetetto, avevo il videocitofono. Tornai a casa verso le 23,30. Ricordo che, poco dopo, suonò il campanello. Mia moglie ebbe paura quando alcuni tifosi le chiesero se potevo uscire un attimo. Le dissi di stare tranquilla ed uscì. Sul giardino del residence c'era pieno di tifosi. Io mi aspettavo critiche, invece mi accolsero abbracciandomi e lanciandomi per aria, gridando il mio nome e i cori dello stadio. Ebbene, vedendo quella straordinaria dimostrazione d'affetto mi resi conto che era quell'amore, quell'affetto che contavano più di ogni altra cosa e promisi che non sarei mai andato via dalla Lucchese di mia volontà. E' stata una promessa che ho mantenuto. Avevo finito la stagione con trenta gol all'attivo, mi voleva il Treviso, mi offriva molti soldi, ma rifiutai per restare con quei tifosi che mi avevano accolto come se avessimo vintpo la finale e non, come, purtroppo, era stato, l'avessimo perduta".
(Continua)