Galleria Rossonera
Oltre cento anni di ritratti e personaggi
Stefano Filucchi: "Con gli ultras bisogna parlare, non sono dei criminali né degli appestati"
23/07/2009 10:46
Stefano Filucchi, ex capo della squadra mobile lucchese, attualmente vice direttore generale dell'Inter, personaggio simpaticissimo, livornese di nascita e di crescita, ma cittadino del mondo come lui ama definirsi. mentalità aperta, larghe vedute, sin dai tempi in cui guidava gli investigatori di viale Cavour aveva una chiara predisposizione per le relazioni umane, capace di parlare e andare d'accordo anche con i tifosi più esagitati. Soprattutto era ed è rimasto un ottimo organizzatore, un altrettanto straordinario comunicatore e un grosso suscitatore di entusiasmi.
A Lucca ha passato diversi anni come capo della squadra mobile. Che ricordo ha della città e della gente?
"Fantastico. Innanzitutto è una delle città più belle, ma poi vi ho lasciato persone carissime e amici. E' stato anche un momento importantissimo della mia carriera. Credo di aver trovato, dal punto di vista professionale, una procura che aveva pochi eguali a livello nazionale, con il dottor Giuseppe Quattrocchi e i suoi sostituti. Quanto di meglio, davvero, possa chiedere un dirigente di polizia giudiziaria per poter lavorare. Quanto ai lucchesi, da buon livornese ho immediatamente legato con tutti nonostante il lavoro sia stato molto intenso per le indagini condotte in tre anni da una squadra mobile che non si è risparmiata dal primo all'ultimo dei suoi elementi. Ricordo che la sera faticavo per mandare i colleghi a casa, perché dopo aver lavorato una giornata intera, ci guardavamo negli occhi e pensavamo a quello che potevamo fare ancora e ci fermavamo in ufficio. Il rapportio straordinario che c'è stato ha consentito a quel tempo di creare una sinergia con la procura e un'amicizia non così comune con le forze di polizie. Era un gruppo unico con carabinieri e guardia di Finanza. Si ricordano inchieste fatte da due tre corpi di polizia congiuntamente, indagini sugli omicidi".
All'epoca, spesso, si trovava allo stadio Porta Elisa nella veste di responsabile dell'ordine pubblico. Dopo il passaggio all'Inter, in un certo senso, si è trovato in tutt'altro ambiente e incarico. Come ha vissuto questa metamorfosi?
"Io ho avuto un periodo intermedio lungo dopo Lucca, perché ho retto la sezione Criminalpol toscana e sono stato portavoce del capo della polizia De Gennaro e ho fatto il manager del Comune di Firenze per due anni. Però, indubbiamente, l'esperienza anche di ordine pubblico fatta a Lucca è stata straordinaria. Un episodio che ricordo con particolare felicità è che ho gestito l'ordine pubblico la domenica prima di lasciare la città. Sono andato allo stadio e mi si avvicinarono i capi della curva di allora. Pensavo a qualche problema, invece mi consegnarono una targa con delle parole di amicizia".
Una volta lei vedeva i tifosi come dei potenziali fomentatori di disordine. Come responsabile della sicurezza dell'Inter e della Figc a livello nazionale, che cosa è cambiato nel suo atteggiamento?
"Io credo fermamente al dialogo con tutti, anche con le curve, perché essere Ultras non vuol dire necessariamente essere violenti. E' un modo monotematico di intendere la fede calcistica, nel senso che ci sono ragazzi, ma non solo ragazzi, che dal lunedì mattina alla domenica sera dopo l'incontro non pensano ad altro che ad organizzare scenografie oppure la trasferta per seguire ovunque la squadra. Questo non mi sembra un comportamento né illecito né immorale. Ci sono, poi, quelli e non sono pochi purtroppo, anche se sempre una minoranza del tifo, che utilizzano lo stadio per compiere violenze, per portare avanti spesso ideologie politiche estremiste, per mischiare con quel fenomeno che viene indicato come della doppia appartenenza, le ideologie politiche, in molti casi razziste, con il sostegno alla propria squadra. Per queste persone ci vuole solo il carcere, la mano pesante nel senso di allontanarli con provvedimenti amministrativi da qualsiasi manifestazione sportiva".
Il calcio italiano è malato?
"Il calcio italiano è uno spettacolo straordinario che il mondo ci invidia. La continua attenzione ai nostri campioni intesi anche come gli stranieri che giocano nei nostri club, e quest'anno ne abbiamo avuta la dimostrazione, dà il segno tangibile di quale sia l'interesse per il nostro calcio. Credo che cion le recenti indagini, per le quali ci sono ancora processi in corso, abbiano dato un forte contributo alla regolarità dei campionati. Ci sono, poi, delle questioni molto importanti da sistemare affinché il nostro calcio rima nga a livelli mondiali. Penso prima di tutto alla fiscalità e a una seria legislazione sui diritti televisivi".
Perché da noi pensare a un derby o a una sfida senza polizia e carabinieri è impossibile?
"Non è impossibile, è possibile farlo gradatamente. Abbiamo avuto partite di grande importanza giocate all'estero e in Italia senza che si verificassero incidenti di sorta. Ovviamente come in tutte le manifestazioni pubbliche un'aliquota di polizia deve essere sempre presente perché sono gli unici ad avere competenze di polizia giudiziaria per cui, di fronte ai reati, soltanto possono intervenire e assicurare alla giustizia i responsabili".
Dov'era lei quando i tifosi nerazzurri lanciarono giù dagli spalti il famoso motorino?
"Ancora nella polizia".
Tornerebbe nella polizia?
"Ho uno straordinario ricordo dell'attività di polizia, un bagaglio culturale fondamentale per la mia professione. Io adesso mi occupo come suopervisore di cose di sicurezza, ma la mia attività è di direttore comunicazione e relazioni esterne del gruppo petrolifero Saras, ho la carica di vicedirettore generale dell'Inter e anche qui ho deleghe sulla comunicazione e l'immagine".
Perché se ne andò?
"Perché ritenevo di aver maturato un'esperienza molto importante e di fronte a diverse offerte molto allettanti, ma una che mi onorava particolarmente e che veniva dalla famiglia Moratti, non ho avuto esitazione ad accettare".
Al. Gra.