Galleria Rossonera
Oltre cento anni di ritratti e personaggi
Francesco Mitchell, le mani sulla Lucchese: "Sogno di arrivare lassù, in serie B, con i rossoneri". Ritratto del massaggiatore che era destinato ad approdare nella squadra della sua città
02/11/2009 17:14
Ogni cosa a suo tempo, dicevano i saggi. E quello che può
non fare al caso tuo oggi, diventarlo domani. E' il caso di Francesco
Mitchell, massaggiatore rossonero, che la Lucchese l'ha sfiorata tante
volte, opponendole sempre un cortese diniego nonostante le tradizioni
familiari che hanno visto il padre Giorgio legato per tanti anni al
sodalizio cittadino. Poi, come spesso accade e come dicevamo, quello
che è stato un no ricco di motivazioni, all'improvviso, diventa
un sì. Convinto, voluto, vissuto. Cambiano le situazioni, cambiano le
persone, cambiano le prospettive. Mitchell è nello staff rossonero da
questa estate, cercato in primis da Paolo Giovannini, ma, in qualche
modo, con la Lucchese, ha sempre avuto a che fare curando tanti
giocatori anche in tempi ormai lontani.
Trentasei anni, un diploma da massofisioterapista, faccia da bravo
ragazzo, Mitchell esercita l'attività da oltre quattordici anni
cercando di ripercorrere le orme del padre che è stato nel settore per
una vita prima della sua prematura scomparsa.
Mitchell, dire che è una tradizione di famiglia la sua, in questo caso , ci pare il minimo.
"E'
vero, peraltro da piccolo volevo fare ben altro: mi piaceva diventare vigile
del fuoco. Poi, da un giorno all'altro, ho deciso di intraprendere la
carriera di mio padre. Mi sono iscritto alla scuola specifica che ha
sede a Bagni di Lucca e successivamente ho frequentato il corso per massaggiatori
sportivi a Firenze. E da lì ho iniziato".
Ripercorriamo le tappe della sua carriera.
"Sono
partito nel San Lorenzo a Vaccoli, poi Cuoiopelli e Agliana, in serie
D, infine Gallicano e Pian di Coreglia. Con la malattia di mio padre mi
sono fermato per un po' sino a trovare la Lucchese quest'estate".
Che impatto ha avuto nel contatto con il mondo del calcio?
"E'
un mondo che mi ha sempre affascinato: ho sempre seguito il calcio e ho
capito da subito che la mia carriera sarebbe stata indirizzata verso
quel settore. L'obiettivo mio, un domani, sarà proprio quello di
dedicare la stragrande maggioranza del mio impegno professionale dietro
una squadra. Tornando alla domanda, mi viene da dire che mi
ha colpito la vita dello spogliatoio, le sue dinamiche, il gruppo".
Dinamiche
di cui voi fate parte, a volte in una posizione anche un po' difficile,
presi dall'impegno professionale, ma anche dai legami di amicizia che
si instaurano.
"Vero, non è facile. Si deve sempre far capire
dove finisce un aspetto e inizia l'altro. E non sempre si riesce; a
volte c'è il rischio che qualcuno prenda la mano e in quel caso si
devono mettere i paletti. Capita, a volte, e francamente un po' ci si
rimane male, ma è un concetto basilare questo del rispetto dei ruoli".
Quanto l'ha arricchita professionalmente il contatto con il mondo del calcio?
"Tanto.
E' la mia passione e devo ringraziare prima di tutto mio babbo per come
sono cresciuto professionalmente. Lui ha fatto questo lavoro per una
vita e per parecchio è stato anche alla Lucchese con la quale ha vinto
un campionato Berretti l'anno della promozione in serie B. Sulla
panchina, quell'anno, c'era Paolo Baldi. Mi ha trasmesso tutto, a
partire dall'amore per questo lavoro, e ho avuto la fortuna di stargli
al fianco per tanto ed imparare continuamente".
Estate 2009: passa il treno rossonero e decide di salirci.
"In
realtà non era la prima volta che si fermava. Sia sotto la gestione
Grassi che quella di Fouzi Hadj avevo avuto delle offerte che ho sempre
rifiutato. Non era maturi i tempi, non ero convinto della proposta e
delle conduzioni societarie, non volevo dentro di me fare quel passo
che sapevo essere un impegno gravoso. Un po' tutto questo mi ha spinto
a rifiutare varie ipotesi di collaborazione".
E perché alla Lucchese di Giuliani ha detto sì?
"Per
l'esatto contrario dei motivi che ho appena esposto. Quest'estate
c'erano tutte le condizioni: credevo nella società, nella proposta
fattami, ero convinto che quello era il momento giusto per buttarmi in
questa avventura. Prima di tutto, però, se ho accettato è stato in
ricordo di mio babbo che ci teneva tantissimo".
Chi l'ha contattata?
"Paolo
Giovannini, erano i primi di giugno e mi ha illustrato il progetto,
prima ancora di parlare degli aspetti economici. Giovannini è una delle
migliori persone che ho conosciuto nel mondo del calcio. Non ci ho
messo molto a accettare, spinto anche da mio zio, l'avvocato Sbragia, e
da mio cugino, Paolo Innocenti, entrambi tifosi rossoneri. E poi
ritrovavo due cari ragazzi che conosco da anni: Scandurra e Mocarelli".
E così è finito nello staff della squadra della sua città.
"Cosa
non facile per tanti motivi, oltre che per la necessità di far
conciliare gli impegni in ambulatorio e quelli in famiglia. Mi son
detto: viviamo alla giornata e viviamo questa nuova avventura sino in
fondo. Per me è la prima esperienza nei professionisti; è un punto di
partenza che ho cercato di affrontare proponendomi così come sono. In
ogni caso è stato un impatto tranquillo, anche grazie alla
disponibilità dei calciatori - molti dei quali li conoscevo già - che
mi hanno messo subito a mio agio".
Che bilancio può trarre da questi primi mesi in rossonero?
"Sono
molto contento di lavorare in uno staff di professionisti di questo
calibro e a cui non ero abituato nelle precedenti esperienze tra i
dilettanti. Devo dire che ho un buon rapporto con tutti. Certo,
lavorare nella squadra della propria città non è facile, ma mi sono
accorto che qualcosa è cambiato, anche in meglio, a livello
professionale. Quanto all'ambiente che ho trovato, sono rimasto
impressionato dalla familiarità, dall'armonia che regna tra tutti,
dirigenti compresi. E anche nello spogliatoio si respira una buona
aria. Fatta di rispetto, ma anche di momenti di scherzo. Di recente è
toccato a Michelini, che si è trovato con la faccia tinta senza nemmeno
sapere com'era successo".
Un'immagine, un flash di questi primi mesi.
"L'esultanza
ai gol. E' qualcosa di indescrivibile. A Gradisca mi sono trovato sin
sotto la curva dei nostri tifosi in occasione della rete di Taddeucci.
Domenica contro il Bassano mi son messo a dare la caccia a Galli appena
ha segnato. La sento tantissimo la partita; prima della gara sono teso
come i giocatori".
Torniamo agli aspetti più strettamente
professionali: tra le difficoltà che avete c'è quella di trovarvi in
mezzo tra un paziente che deve guarire, perché comunque questo è un
calciatore infortunato, e le necessità dello staff tecnico di
reintegrarlo il prima possibile.
"Premesso che gli strumenti
tecnici a disposizione hanno consentito di accorciare i tempi di
recupero, è chiaro che si deve fare il possibile per limitare i tempi
di infortunio senza però tirare la corda. Mi spiego: se per guarire
qualcuno si forzano i tempi si rischia solo una ricaduta e tempi di
recupero a quel punto decisamente più lunghi. Per guarire ci vuole il
tempo necessario, inutile spingere sull'acceleratore".
Mitchell e la Lucchese in veste di tifoso.
"L'ho
sempre seguita, per anni sono andato allo stadio cercando di conciliare
gli impegni per vedermi il più possibile i rossoneri. Naturalmente
c'ero anche io quella domenica con la Triestina e tante altre volte. Da
quando è arrivata questa società ho viste tutte le gare in casa, anche
perché lo scorso anno prestavo servizio con la Misericordia di Lucca
allo stadio. Mi è capitato di seguirla più volte anche in trasferta".
L'emozione più grande?
"Naturalmente
la gara con il Gavorrano, con lo stadio pieno e un'atmosfera davvero
speciale. La maggiore tristezza calcistica? Ci sono cose ben più
importanti per cui essere tristi nella vita. Il calcio è una gioia e un
divertimento...".
Mitchell e il suo libro dei sogni.
"Chiudo gli occhi e spero di diventare
il massaggiatore della Fiorentina o della Lucchese lassù...ovvero
almeno in serie B. Sono convinto che ci possiamo arrivare. E con questa
proprietà".
Fabrizio Vincenti