Galleria Rossonera

Oltre cento anni di ritratti e personaggi

"Quella volta che Lippi mi prese per il collo..." La storia rossonera, e non solo, di Davide Quironi, portiere per scelta

25/11/2009 09:27

Cosa hanno in comune Lippi, Del Neri, Fascetti, Orrico, Scoglio e Braglia? Tutti allenatori, alcuni famosissimi, altri noti, ma con un particolare che finisce per unirli, oltre alla bravura, naturalmente. Tutti hanno avuto alle dipendenze Davide Quironi. Il preparatore dei portieri rossonero non si può dire che non abbia avuto la possibilità di imparare dai grandi. Da ognuno di essi, nella sua carriera, ha cercato di cogliere qualcosa, di capire cosa poteva essere ripreso per fare bene e meglio, perché Quironi cerca di trasformare i propri sogni in realtà senza accampare alibi e contando, prima di tutto, sulle proprie forze. E ora quel sogno, dopo averlo raggiunto da giocatore, lo vorrebbe concretizzare come allenatore dei portieri. Un sogno chiamato serie A: un sogno nel sogno sarebbe poi arrivarci con la Lucchese. Quarantuno anni, da una vita a Lucca, eletta sua città adottiva, romano e romanista, Quironi è dotato di una grande, naturale simpatia e umanità. Un ragazzo di oltre quarantanni che non ha perso il sorriso e la voglia di sognare. Anzi, semmai li ha ritrovati nel corso della sua esistenza. Perché anche dalle brutte esperienze si può uscire con un sorriso.

Quironi portiere come nasce?
"Nasce tardi, nel senso che da bambino - ho iniziato a giocare a 6 anni - mi dividevo tra il ruolo del portiere e quello dell'attaccante. Sono partito nella doppia veste nel Villalba, la squadra con i campi sotto casa mia, e ho proseguito sino nella Lodigiani dove sono approdato a 10 anni".

E la scelta di mettere definitivamente i guantoni quando è avvenuta?
"Tardi, a 15 anni, dopo che avevo vinto persino un campionato nei giovanissimi regionali. Mi chiamarono con mio padre e mi chiesero di scegliere. Mio padre disse: 'Decidi tu, sei tu che vai in campo'. E io scelsi di fare il portiere. Anche per l'altezza: all'epoca ero alto quasi quanto ora, poi lo sviluppo si è arrestato. Purtroppo".

L'anno dopo è già lontano da casa, a Trento.
"Ci finisco per un caso: la Roma, dove avrei voluto giocare con loro, mi manda al torneo Arco di Trento "Beppe Viola". Dovevo giocare nel Trento, con il quale la società giallorossa era in ottimi rapporti. Alla fine piacqui talmente a loro che mi acquistarono e addio Roma".

Sedici anni e via, per le strade del mondo.
"Devo ringraziare la mia famiglia che mi è stata accanto e mi ha spinto a fare questa esperienza. Peraltro Trento era una città completamente diversa da quella da dove provenivo. Un ambiente sano, ho bellissimi ricordi".

In campo iniziano le prime esperienze tra i professionisti.
"Sì, prima con la Berretti, il Trento era in C1, poi con la prima squadra dove al secondo anno giocai 15 gare per un infortunio al portiere titolare. Da Trento, per fare il militare vicino Roma con gli altri atleti che svolgevano il servizio, tornai poi alla Lodigiani in C2 dove venni contattato dall'Ascoli e dal Licata entrambe in serie B. Scelsi questa seconda soluzione".

Da un capo all'altro dell'Italia.
"Esattamente. Tutto diverso: altro clima, altro ambiente, ma tutte esperienze utili per crescere. Feci cinque gare poi mi dissero che dovevo crescere, che ero giovane. Insomma le solite cose che si dicono di fronte ad un ragazzo ancora agli inizi. Non giocai più".

Ma arrivò un'altra chiamata, stavolta da Lucca.
"Fu Pino Vitale che mi aveva visto con l'Under 21 di serie C a farsi vivo e propormi di arrivare qui. La Lucchese era stata appena promossa in serie B e mi dissero che sarei dovuto essere il secondo portiere. Lucca mi piacque immediatamente: si adattava al mio carattere, comprai subito casa. Questa per me è una città fantastica".

L'impatto con Orrico come andò?
"Mi disse subito e con molta franchezza: 'Tu con me non giocherai mai'. Ma a me andava bene, avevo trovato la mia dimensione. Era comunque la serie B quella che andavamo ad affrontare".

E a momenti sfioraste la clamorosa promozione in serie A.
"Ci mancò poco, forse a Barletta perdemmo il treno giusto. Se contò il passaggio di Orrico all'Inter? Facile dirlo ora, diciamo che qualcosa era cambiato, ma va anche detto che ce la mettemmo tutta. Non bastò, anche perché per come giocavamo, ovvero in modo sempre dispendioso, dovevamo essere sempre al massimo. Alla lunga pagammo pedaggio. Orrico è stato all'avanguardia tattica per quel periodo, caratterialmente aveva dei limiti, ma è una persona vera che dice, spesso bruscamente, quello che pensa".

L'anno dopo arriva un certo Marcello Lippi a raccogliere un'eredità impossibile o quasi, almeno nella testa dei tifosi.
"Erano altri tempi, un altro calcio e un po' il ricordo di quel calcio orrichiano continua ad aleggiare persino ora, figuriamoci allora. Titolare era Landucci quell'anno. Vitale mi disse: 'Ti facciamo tre anni di contratto, ma continui a fare il secondo. Il prossimo anno parti titolare'. Accettai perché avevo fatto una scelta di vita, mi trovavo a fare una professione importante, io che vengo da una famiglia umile, mi sembrava giusto giocarmi qui le mie carte. Peraltro a riprova della serietà della società, l'anno dopo partii titolare".

E Lippi?
"Lippi fece bene, è una grande persona, corretta. Racconto un episodio per spiegarmi: durante un allenamento feci un'entrata dura su Bruno Russo, ne nacque un parapiglia con Lippi che arrivò in mezzo e mi prese energicamente per il collo. Nello spogliatoio, in separata sede, mi disse che lo aveva fatto perché Russo era uno dei più anziani e io un giovane e davanti a tutti doveva tutelarlo. E' raro che nel mondo del calcio ti diano spiegazioni del genere. Lippi sa usare il bastone e la carota".

L'anno dopo ecco di nuovo Orrico e spesso i cavalli di ritorno non vanno.
"C'erano tante, troppe aspettative, anche da parte della società che aveva speso parecchio, e inanellammo una serie di pareggi che finì per complicare le cose quasi subito. Così si arrivò al cambio di allenatore".

E' la volta di un altro personaggio carismatico: il professor Scoglio che vi guida alla salvezza, in una stagione dove Quironi disputa quasi tutte le gare.
"Era un personaggio un po' naif, ma, sono sincero, non mi è sembrata una persona vera sino in fondo. Con lui ebbi un dissidio: mi cercò il Parma e appena venne fuori il contatto mi mise fuori dicendomi che dovevo riposare. Io risposi che non ero per niente d'accordo e ne nacque un battibecco. Il risultato fu che tornai titolare solo all'ultima di campionato, a salvezza ormai acquisita. Per carità, non è che non sia andato a Parma per questo, però...".

Dopo Scoglio sulla panchina rossonera approda un altro mostro sacro della serie B: Eugenio Fascetti.
"Una grande persona, una persona vera. Mi parlò chiaramente dall'inizio, dicendomi che non c'era spazio per me come titolare, ma che se avessi accettato la panchina per lui sarei stato una sicurezza in caso di necessità. Fu un anno, sportivamente parlando, travagliato. Fascetti pagò anche la troppa spontaneità e il fatto che venisse da Viareggio non lo agevolò. Ma ripeto: è uno che dice sempre la verità. E nel calcio non te lo puoi sempre permettere".

Quanto è vero il mondo del calcio o meglio quanto di quello che si vede dall'esterno corrisponde a quello che realmente accade?
"E' una domanda difficile. In 25 anni di carriera ho conosciuto persone vere e persone non vere. Quando hai a che fare con queste seconde ti devi un po' adattare, altrimenti non reggi in questi ambienti".

Il legame con Lucca si interrompe l'estate successiva.
"Non esattamente. Maestrelli mi chiama e mi dice che devo andare a Verona a fare la riserva. Io dissi che non ci pensavo nemmeno e Maestrelli la prese male: 'Tu non sali nemmeno sul pullman della squadra' mi disse, e io, di rimando: 'Bene, ma mi pagate comunque lo stipendio'. Poi ci rincontrammo e a ottobre andai a Ospitaletto in C1, ma da titolare. Grande presidente, Maestrelli".

Di nuovo stabilmente in campo, anche se lontano da Lucca.
"Solo per quindici partite. Ci pensai da solo a mettermi fuori causa".

Ovvero?
"Era un fine settimana che la C non giocava, andai con l'allora mia moglie e con una coppia di amici in Capannina in Versilia. Tutto a posto, mentre stiamo uscendo vedo che il mio amico viene picchiato da un gruppo di persone; mi butto in mezzo, prendo una spinta, cado in terra e batto violentemente la testa. Mi portano d'urgenza all'ospedale dove mi diagnosticano un ematoma non operabile. I medici dissero che potevo anche non passare la notte e che comunque rischiavo di restare paralizzato. Invece l'ematoma si riassorbì da solo. Un miracolo anche per i medici".

Crede nei miracoli e in Dio?
"Tantissimo. Non sono praticante, ma ci credo e sono un devoto di Padre Pio. L'ho visto sulla mia pelle che Dio esiste".

Cosa le ha lasciato quella esperienza?
"Da lì la mia vita è cambiata: ho imparato a apprezzare tutto, anche i gesti e le situazioni più insignificanti che la vita ti regala. Mi ha dato la forza di sorridere sempre".

Il recupero fu lungo?
"Sei mesi, durante i quali ti passa tutto per la testa, ma ho sempre avuto un carattere forte e non mi sono lasciato abbattere. Sennò non avrei fatto il portiere, un ruolo in cui hai venti giocatori potenzialmente contro, basta pensare a quanti autogol si vedono. Il mio procuratore, Sergio Berti, mi dice che la Cremonese mi vuole in prova dieci giorni. Io gli rispondo che non se ne parla nemmeno di prove. Finisco per accettare la proposta in Interregionale del Poggibonsi. Voglio scommettere su me stesso. Da lì partì la risalita, passata attraverso Pistoia e Terni, dove finii a fare il secondo portiere con Del Neri come allenatore".

Del Neri, un altro tecnico chiave nella sua carriera.
"Vince a Terni e lo prendono a Empoli, in serie A; mi chiama e mi dice: 'Vieni che fai il secondo di Sereni e ti faccio esordire in serie A'. Parto subito".

E la serie A arriva davvero.
"Contro il Milan a San Siro, a 10 ‘ dalla fine. Una sensazione incredibile, una rivincita pazzesca al punto che mandai tre cartoline dello stadio con la data dell'esordio. Mi dovevo levare alcuni sassolini dalle scarpe. Poi festeggiai l'esordio con i miei amici qui di Lucca, quelli del cuore Genovali, Gennazzani, Borella: 500 tordelli sulla tavola e una gara a chi ne mangiava di più".

Che passa per la testa a un calciatore che arriva all'esordio in serie A?
"Nella mia che nella vita, quando ci si mette un obiettivo in testa e lo si prova a perseguire con tutti i mezzi, si arriva a centrarlo. Non conviene mai accampare scuse e scaricare sugli altri: gli alibi non servono. Si deve crederci, perché se si vale prima o poi i risultati arrivano".

Dopo Empoli arriva Foggia, alla corte di Sensi e Baldini.
"In realtà volevo smettere quell'estate e mi fermai. Mi pareva giusto chiudere così la carriera. Presi il patentino da allenatore e sbagliai a non agganciarmi a Del Neri, ma volevo restare a Lucca. A dicembre mi chiama il Foggia, allenato da Piero Braglia, mi chiesero di fare il secondo e dare una mano al tecnico".

Storie rossonere che si incrociano un'altra volta. Con Braglia come andò?
"E' un altro della serie...nudo e crudo, ma mi ha insegnato tanto. Il campionato lo perdemmo ai play off, forse anche a causa di un ritiro durato venti giorni prima della partita. Braglia temeva che i giovani in libertà si afflosciassero, ma ottenne l'effetto contrario. Alla fine di quel campionato appesi davvero le scarpe al chiodo e senza il rimpianto di averle indossate per un'altra stagione. Lo stesso periodo post ritiro l'ho vissuto bene, a differenza di altri, perché ho sempre fatto una vita normale con amicizie fuori dal calcio: è stato molto importante per non andare in difficoltà".

E poi?
"E poi, quasi per caso, tramite Gennazzani iniziai ad allenare i portieri del settore giovanile del Ponte del Giglio, poi del Lucca 7, poi dell'Atletico, poi dell'Unione '98, dove approdai anche nella prima squadra. Dopo è arrivata la Folgor Marlia in promozione e la primavera della Fiorentina dove sono stato due stagione e ho vissuto a contatto con la prima squadra avendo la fortuna di allenare anche Frey. Da lì sono approdato a Castelnuovo, in compagnia di Russo, Superbi e Deoma".

In Garfagnana arrivaste a un addio un po' burrascoso, anche se condito da un bel gesto, uno di quelli da amici veri.
"Eravamo approdati con Marchini che poi cedette ad un'altra proprietà che non conoscevamo. I nuovi arrivati volevano cambiare il diesse, che era Deoma, e noi dicemmo che ce ne saremmo andati tutti. Eravamo un gruppo unico anche se di soldi se ne vedevano ben pochi. L'amicizia viene prima di tutto. Lo rifarei subito quel gesto. Quando fai le cose devi star bene con te stesso e se fossi rimasto non sarebbe stato così".

Da Castelnuovo alla Lucchese, via Entella.
"Ho trascorso un anno bellissimo nella società ligure che è molto organizzata, con un direttore bravo come Superbi, ma quando è arrivata la chiamata della Lucchese con Superbi ho parlato chiaramente e lui ha capito. Alla Lucchese non potevo dire di no".

Chi l'ha contattato?
"Giovannini e poi ho avuto modo di fare la conoscenza del mister durante dei campi estivi per bambini a Corfino, ma sino ad allora non ero nello staff. A Giovannini dico che voglio starci, ma solo se va bene a Favarin a cui, in quelle settimane, faccio una buona impressione che mi dice: 'Vieni con noi ma se sbagli a livello umano o morale ti picchio!'".

La Lucchese ritrovata dopo tanti anni: quali impressioni dopo pochi mesi?
"Un ambiente sano, pulito all'altezza delle categorie che stiamo affrontando. A partire da Giovannini per il quale parlano i risultati con una squadra in testa da più di un anno. Anche il pubblico sta iniziando a ritrovarsi, a capire che c'è tanta voglia di fare bene".

I tre portieri che allena (Nicastro, Lenzi e Berti) descritti in poche parole.
"Nicastro: esperienza, equilibrio tranquillità. Lenzi: qualità esplosive, ma deve calarsi nel professionismo. Berti: deve migliorare in tutto anche se apprezzo come sta in porta. E' un altro dei tanti lucchesi in formazione: un bene".

Dove si vede Quironi a cinquantanni?
"Spero in serie A come allenatore dei portieri. Con la Lucchese sarebbe il massimo, ma sarebbe stupendo arrivarci in qualche modo anche in questo ruolo dopo averla toccata da portiere. Io di una cosa sono sicuro: darò il massimo, poi ci vuole un pizzico di fortuna per trovarsi al posto giusto nel momento giusto".

Fabrizio Vincenti

 

 

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