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Oltre cento anni di ritratti e personaggi

Binho Cribari e quel grande cross che gli costò la carriera: allevatore di polli e talent scout in Brasile, procuratore di Marino Taddeucci - "Mi ricorda il Toni giovane con cui ho giocato" - a Lucca

22/02/2010 18:47

Sessantamila animali, 14 milioni di pulcini allevati non a batteria. Venti persone impiegate nell'azienda. La possibilità, mediante una web cam, di controllare via Internet l'andamento quotidiano delle operazioni direttamente dall'Italia. Il tutto nella sconfinata, ma lontanissima terra brasiliana. Sono questi i numeri, e che numeri, di Binho Cribari, ex calciatore dell'Empoli, ma, soprattutto, della Lucchese, squadra dove ha lasciato ricordi bellissimi. Un uomo, sposato, attualmente imprenditore in Brasile nel settore agricolo vicino a Londina: "Produco, faccio nascere i pulcini e allevo i polli che, poi, mangiamo" spiega Binho, origini italiane legate al trasferimento, alla fine dell'Ottocento, della famiglia dall'Italia in America del Sud. Tranquillo, riservato, mai sopra le righe, Cribari, a fine carriera e quando avrebbe potuto e dovuto ricevere molto di più di quello che ha dato, è stato costretto dagli infortuni ad appendere le classiche scarpette al chiodo. Tutto finito, tranne la voglia di restare in questo meraviglioso Paese.

Binho Cribari, lavoro in Brasile, ma l'Italia prima di tutto.

"Ho cercato di fare un'attività da poter seguire anche da qui, ovviamente avvalendomi di una persona di fiducia laggiù, in Brasile. Il fatto è che l'Italia mi è entrata nel cuore, ho sposato un'italiana e Lucca è rimasta la mia città".

Luogo e data di nascita.

"Cambara, a sud del Brasile, nello stato del Paranà, vicino al confine argentino. Sono nato il 13 febbraio 1975. Sono sposato con Francesca Cavaterra, romana e viviamo a Parezzana, comune di Capannori".

A Lucca quando è arrivato?

"Nel duemila. In Brasile, invece, arrivarono i miei bisnonni, a fine Ottocento, provenienti, la mia bisnonna dalla Calabria e il mio bisnonno da Treviso".

Quando ha capito che il calcio avrebbe potuto essere una professione?

"Quando, a sedici anni, mi presero da una scuola calcio e mi fecero approdare al Londina dove, a quell'età, vinsi, praticamente, tutto. L'anno dopo esordii in prima squadra, nella serie B brasiliana. Nel 1997, infine, arrivai in Italia, ad Empoli. Avevo 22 anni ed ero reduce da un infortunio al ginocchio sinistro. Mi volle Luciano Spalletti che aveva come diesse Fabrizio Lucchesi. Nel 1980, sempre ad Empoli, giunse anche mio fratello Emilson, tanti anni alla Lazio e, adesso, al Siena".

A Empoli...

"A Empoli giunsi e firmai proprio quando stava vincendo il campionato di serie B. Esordii in serie A a novembre con il Brescia, entrando a gara già iniziata. Poi contro la Sampdoria dal primo minuto e vi8ncemmo 5 a 1. Era la Sampdoria di Signori, Veron, Mihailovic. Esordii come difensore centrale. A fine gara feci una fuga sulla fascia e, da allora, Salletti mi inventò come esterno e da allora giocai in quel ruolo".

Un bel ricordo?

"Sempre in quel campionato di serie A. Giocavamo contro l'Inter di Ronaldo. Finì in parità, 1 a 1 e il giorno dopo, in pagella, ricevetti un 8. Fu la partita del famoso gol di Recoba da entrocampo. Ricevetti perfino i complimenti di Moratti e noi ci salvammo, in quella stagione, con un turno di anticipo".

Poi cosa accadde?

"L'anno successivo partii titolare, ma Spalletti andò via e arrivò Del Neri. Giocai 23 gare, ma retrocedemmo. Era la stagione 1998-99. L'Empoli scivolò in serie B. Io fui uno dei pochi a restare, eravamo in tre quando approdò in panchina Silvio Baldini. A febbraio 2000 ebbi problemi a livello di rapporti personali, giocavo poco, così, venni alla Lucchese. Quando mi chiamò Corrado Orrico, non ci pensai due volte e decisi di seguirlo a Lucca. Quando ti chiamava Orrico non potevi dire di no".

Dalla B alla C, un po' come i gamberi...

"Fu una scommessa. Segnai nella partita decisiva a Ferrara contro la Spal, ma non riuscimmo a andare ai play-off".

Che tipo è Orrico?

"Una persona genuina e a me piacciono quelli che mi dicono le cose in faccia. Lui è uno di quegli allenatori che tratta tutti alla stessa maniera. Con lui gioca chi è più bravo. Se hai carattere con lui vai avanti".

Quando ha disputato l'ultima gara con la Lucchese?

"Nel 2006, con Gigi Simoni in panchina, a Perugia. Lì soffrivo maledettamente al ginocchio. Nel 2004 c'era stata una breve parentesi quando Donadoni mi chiamò a Livorno nel corso del campionato di serie B. Feci sei mesi da gennaio a giugno e giocai dieci-dodici partite".

Livorno, un po' diversa da Lucca.

"A Livorno mi sono trovato benissimo. Anche ora, quando vado e per un motivo o l'altro viene fuori il mio nome, mi ricordano con simpatia. Per essere così vicina a Lucca è un altro mondo. Clima caldo, la gente ti ferma e chiede l'autografo. Lucca è una città più signorile".

E ora Cribari fa, a Lucca, il procuratore.

"Non proprio. Collaboro con Davide Torchi del gruppo di Tullio Tinti. In Brasile, inoltre, sponsorizzo una scuola calcioa S. Paolo. Quando escono i migliori, io ho la precedenza per farli vedere qui in Italia. Inoltre cerco di dare dei buoni consigli a Marino Taddeucci, il centravanti della Lucchese".

Questa non la sapevamo.

"Invece è così. Posso dire che Taddeucci ha rinunciato a tanti soldi per fare il provino alla Lucchese. Nel 1997 mi allenavo, all'Empoli, con Luca Toni. Luca è andato a fare esperienza e è diventato un campione. Ecco, Taddeucci ha le stesse qualità che aveva il Toni giovane e la sessa voglia di migliorarsi. Il mio consiglio per l'anno prossimo è di andare in una squadra dove può giocare, ma il suo cuore è restare a Lucca".

Cosa avrebbe fatto se non fosse diventato calciatore?

"Avrei studiato, forse, amministrazione. Mi manca l'università". 

C'è ancora chi si ricorda quello straordinario cross per la testa di Carruezzo nella finalissima play-off contro la Triestina.

"Come faccio a dimenticarlo? Io ho sempre avuto la caratteristica dei cross in corsa. Non è semplice, poiché per farlo c'è una torsione della caviglia e del ginocchio. Il cross forte, per me, era un modo per facilitare il compito dell'attaccante. In questo caso, infatti, bastava che la toccasse con la testa per spedirla dentro, senza eccessivo sforzo, mentre in caso di cross più lento, l'attaccante deve saltare più in alto e con maggiore potenza. In quella partita contro la Triestina, feci, in quella circostanza, la cosa più difficile. Eravamo sul 2 a 1, arrivai sul fondo in corsa e crossai al centro forte, per la testa di Carruezzo che la mise dentro. Era il gol del 3 a 1. Tra l'altro misi lo zampino anche negli altri due gol. Bastava per andare ai supplementari. Si poteva vincere, era stata una partita molto dispendiosa. Poi ci fu il rigore. Quando Toni sbagliò, ho capito che avremmo perso. Fu una sensazione. Fu l'ultima volta in vita mia che ho pianto".

Nel 2006 lasciò la Lucchese.

"Vero. Andai al Castelnuovo dove arrivammo a un punto dai play-off. Con i gialloblù giocavo nonostante il dolore al ginocchio, ma ogni volta, quando tornavo a casa, impiegavo 24 ore per recuperare da un allenamento. Ho, così, scelto la via della salute. Fino al 2008 ricevevo almeno due proposte dalla serie D. Per rispetto per tutti ho detto no. Non me la sentivo di prendere lo stipendio se non potevo fare quello che di solito facevo".

Rimpianti?

"Sì, anche a 35 anni, perché quando vado a vedere le partite vedo che ancora poteva starci".

Aldo Grandi

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